Nella politica, come nella vita, è raro trovare chi abbia il coraggio di ammettere un errore e chiedere scusa. Molto più frequente è la tendenza a scaricare la colpa sugli altri, sul destino o su circostanze incontrollabili. In questo contesto, non sorprende che alcune leggi rimangano in vigore anche quando non producono i risultati sperati.
Sbagliare è umano, mentre continuare ( a sbagliare) è diabolico |
In Italia, esempi emblematici sono la legge Merlin, che abolì le case chiuse, e la legge Basaglia, che riformò la psichiatria. Entrambe furono celebrate come “conquiste di civiltà”, ma entrambe hanno incontrato difficoltà pratiche che ne hanno limitato l’efficacia. Eppure, gli eredi politici di chi le approvò continuano a difenderle, raramente ammettendo i limiti o i fallimenti. Il risultato è che la legge diventa quasi sacra, mentre il reale impatto sociale viene spesso ignorato o minimizzato.
Questo fenomeno non riguarda solo l’Italia. Ovunque la politica si muova tra ideali e realtà, emerge la stessa tendenza: attribuire i fallimenti a fattori esterni, evitare l’autocritica e difendere a priori ciò che è stato deciso. Ma se la politica non è capace di riconoscere i propri errori, come può davvero correggersi e migliorare?
Riflettere su questo meccanismo è essenziale. Non si tratta di negare il valore simbolico di leggi o riforme, ma di capire che una “conquista di civiltà” non si misura solo nelle intenzioni o nei titoli dei giornali, bensì nei risultati concreti e nel benessere reale delle persone. Solo allora la politica smetterà di essere un monumento all’orgoglio e diventerà uno strumento di reale progresso.
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