Rita De Crescenzo, la tiktoker che trasforma ogni diretta in una saga popolare, è diventata improvvisamente l’oggetto del desiderio di molti partiti. La cercano quelli che hanno perso consensi, quelli che non ne hanno mai avuti e, soprattutto, quelli che hanno smarrito le idee già alla fermata del bus. Per alcuni, l’illusione è che un balletto e due slogan in rima possano sostituire un programma politico.
Il caso esplode in Campania: Rita De Crescenzo e l’influencer Napolitano Store si presentano nella sede del Consiglio Regionale, bandiera tricolore in mano, inno nazionale sparato a tutto volume, selfie a raffica e una frase che sembra un trailer di reality: “Tanto lavoro, le medicine e tante cose belle”.
Al loro fianco, sorridente, il consigliere regionale di Azione Pasquale Di Fenza, che li accoglie come se stesse inaugurando una nuova stagione su TikTok anziché rappresentare i cittadini.
Il video diventa virale e, invece di strappare applausi, provoca un coro bipartisan di indignazione: il presidente del Consiglio regionale parla di ridicolizzazione dell’istituzione, Fratelli d’Italia accusa di “vilipendio della bandiera”, la Lega ironizza, il M5S invoca rispetto per le istituzioni. Insomma, un miracolo: tutti d’accordo, ma solo per dire che è stata una figuraccia.
E qui entra in scena Carlo Calenda. Niente foto ricordo, niente “vediamo il bicchiere mezzo pieno”: decide di espellere Di Fenza da Azione con effetto immediato. Lo fa con un post su X, tagliente come un bisturi:
“Questo buffone che usa gli uffici del Consiglio Regionale per pantomime indecenti con personaggi improbabili e vaiasse varie, viene espulso da Azione con effetto immediato. Mi scuso con gli elettori.”
Di Fenza prova a difendersi: “Non ho ammazzato nessuno… Calenda mi ha chiamato buffone, un po’ mi ha ferito, ma forse voleva dimostrare qualcosa alla sua Roma bene.”
Peccato che il punto non fosse la geografia, ma il principio: le istituzioni non sono un set per accumulare follower.
Le scorciatoie fanno male alla politica, soprattutto a chi pensa di poterle usare come scorciatoia di carriera. Peggio ancora, logorano chi si improvvisa a fare politica come si fanno i cerchi con il fondo dei bicchieri: convinto di fare arte, e invece lascia solo aloni appiccicosi quando la festa è finita.
In questo caso, Calenda ha fatto la scelta più ovvia e giusta: ha difeso l’idea che un’assemblea elettiva non sia un palcoscenico da cabaret digitale. In tempi in cui troppi si aggrappano a “personaggi virali” per strappare consenso facile, serviva qualcuno che ricordasse che il like di oggi è la figuraccia di domani.
E per una volta, bisogna dirlo: ha avuto ragione lui.
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