Dal ricordo al presente: il peso della memoria ignorata

La Shoah, nella sua fase più acuta, durò circa quattro anni, dal 1941 al 1945, anche se la cosiddetta “Soluzione Finale” fu formalizzata solo con la Conferenza di Wannsee nel gennaio del 1942. Quell’inferno ha lasciato un segno indelebile nella storia dell’umanità: milioni di vite spezzate, comunità annientate, un dolore così vasto da sembrare inconcepibile. Ogni anno, nel Giorno della Memoria, ci fermiamo a ricordare, a commemorare, a riflettere sulle responsabilità del passato. Ma mentre noi celebriamo quel ricordo, spesso in maniera rituale e simbolica, altrove la tragedia continua a consumarsi sotto gli occhi del mondo.

Il popolo palestinese soffre da decenni, dal 1948 a oggi, e non si tratta di commemorazione: è una sofferenza quotidiana, visibile, tangibile, che colpisce uomini, donne e bambini a Gaza, in Cisgiordania e nei campi profughi dei paesi vicini. Essi portano sulle proprie spalle un peso che noi possiamo solo intuire, pagando in prima persona il prezzo di decisioni storiche e ingiustizie internazionali di cui l’Europa ha parte della responsabilità. A differenza della memoria commemorativa, la loro sofferenza non ha giorni segnati sul calendario: è continua, inesorabile e silenziosa.

La memoria della Shoah dovrebbe insegnarci qualcosa di più del semplice ricordo: dovrebbe scuoterci, spingerci all’azione e impedirci di voltare lo sguardo di fronte alle ingiustizie presenti. Oggi, osservando la condizione dei palestinesi, ci troviamo davanti a una prova di coscienza che non possiamo ignorare: ricordare il passato significa riconoscere il dolore del presente e assumersi la responsabilità di reagire, prima che la storia continui a ripetersi sulle spalle di chi non ha voce.

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