C’è una domanda che, appena la si formula, apre un vortice di ipotesi affascinanti e inquietanti: siamo davvero la prima civiltà avanzata della Terra? La storia ufficiale ci racconta di Homo sapiens che, in un battito di ciglia geologico, passa da piccole comunità di cacciatori-raccoglitori a società complesse, imperi e città verticali. Ma se sotto le nostre foreste, deserti e oceani si celasse il ricordo di un’epoca ancora più antica, abitata da un’altra specie intelligente?
L’ipotesi di una civiltà preumana non implica per forza astronavi o visitatori dallo spazio. Potrebbe trattarsi di una specie evolutasi ben prima di noi: discendenti di dinosauri sopravvissuti all’estinzione, mammiferi intelligenti sviluppatisi in un’era remota, o persino ominidi dimenticati, dotati di linguaggio, cultura e tecnologie di cui oggi non resta traccia. Il problema è che il tempo è un nemico spietato. Milioni di anni cancellano qualunque opera: montagne si alzano e si sgretolano, deserti seppelliscono intere città, le foreste inghiottono pietra e metallo, e i fondali oceanici divorano le coste di un tempo.
Se pensiamo a quanta parte della Terra è oggi sommersa, il quadro si fa interessante. Alla fine dell’ultima glaciazione, il livello del mare era più basso di oltre cento metri: intere pianure costiere – ideali per insediamenti – oggi si trovano sul fondo dell’oceano. È lì, forse, che potremmo trovare i resti di quelle città preumane, come suggeriscono i misteriosi blocchi di Yonaguni, al largo del Giappone, o la Bimini Road, alle Bahamas. Allo stesso modo, il Sahara e l’Arabia, oggi distese di sabbia, furono in passato terre fertili e attraversate da fiumi. Cosa giace sotto quelle dune?
La giungla non è meno implacabile: in Amazzonia, il LIDAR ha già rivelato piramidi e reti stradali invisibili a occhio nudo. Chi ci dice che, più a fondo, non si nascondano strutture di un’epoca precedente alla nostra? E poi c’è la geologia, che non fa sconti: in milioni di anni, intere porzioni di crosta terrestre vengono riciclate, cancellando ogni segno.
La suggestione non è nuova. Platone parlava di Atlantide, un’isola “potente e meravigliosa” scomparsa in un giorno e una notte. Le leggende tamil ricordano Kumari Kandam, un continente sprofondato nell’Oceano Indiano. In Asia e Oceania si racconta di Lemuria, terra abitata da popoli saggi e spirituali. Sono soltanto miti, oppure ricordi distorti di eventi reali?
C’è anche chi ipotizza che queste civiltà non fossero affatto simili a noi: che usassero tecnologie diverse, basate su materiali biodegradabili o energie non inquinanti, lasciando dietro di sé tracce che il tempo avrebbe facilmente cancellato. Forse non hanno mai costruito grattacieli o automobili, ma macchine e strutture che oggi ci sarebbero incomprensibili.
Oggi, grazie alla combinazione di archeologia subacquea, rilievi satellitari e indagini nelle zone più inaccessibili del pianeta, l’idea di scoprire un giorno prove concrete di un passato “non umano” non sembra più pura fantascienza. E, in fondo, l’attrazione per queste teorie nasce anche da una consapevolezza: se scoprissimo di non essere stati i primi, la nostra storia cambierebbe per sempre.
Forse, tra le pieghe delle giungle, sotto le sabbie del deserto o nelle profondità marine, riposa ancora il segreto di chi, milioni di anni fa, ha già percorso la strada che crediamo di aver tracciato per primi.
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