Altri che conquistano.
Poi ci sono gli italiani: quelli che inventano ma si dimenticano di brevettare, che costruiscono meraviglie isolate ma non reti, che sfornano scienziati e artisti di livello mondiale ma arrancano nella gestione ordinaria. Insomma: facciamo i lampi, ma non i tuoni.
Questa non è solo un’immagine poetica. È la sintesi di una crisi di sistema che dura da oltre un secolo.
Il paradosso fascista: militarismo senza guerra moderna
Il regime fascista è un esempio lampante di retorica priva di sostanza operativa. Mussolini parlava di "dieci milioni di baionette", ma l’Italia entrò nella Seconda guerra mondiale con:
- armi obsolete,
- una marina senza portaerei,
- una forza aerea coraggiosa ma superata,
- un esercito numeroso ma male equipaggiato.
Nel frattempo, la Germania nazista investiva nel riarmo industriale, nei razzi V2, nei jet a reazione. L’Italia restava indietro, credendo di poter compensare l’arretratezza con la teatralità.
Risultato? Un disastro annunciato.
I ragazzi di via Panisperna: il genio che se ne va
Nel cuore di Roma, negli anni ’30, un gruppo di giovani fisici italiani – Fermi, Segrè, Majorana, Amaldi – anticipava la rivoluzione atomica. In un Paese lungimirante, sarebbero stati il cuore di una nuova era scientifica.
In Italia, invece:
- vennero ostacolati o ignorati,
- perseguitati da leggi razziali,
- costretti all’esilio.
Fermi contribuì al Progetto Manhattan. L’Italia perse la propria rivoluzione nucleare prima ancora che cominciasse.
La Libia, il granaio che nascondeva petrolio
Durante il ventennio, Mussolini volle trasformare il deserto libico in un “granaio” coloniale, con villaggi italiani e progetti agricoli di bonifica.
Ma sotto la sabbia non c’era solo sabbia.
C’erano vasti giacimenti di gas e petrolio, che gli italiani non videro (o ignorarono). Se ne accorsero gli inglesi negli anni '50, dopo la fine della colonizzazione.
Un’altra occasione sprecata. Un altro lampo senza tuono.
Ma allora: perché gli italiani fanno i lampi e gli altri fanno i tuoni?
La domanda è antica, e non ha una risposta unica. Ma possiamo individuarne alcune cause profonde:
- Frammentazione
Ogni italiano si sente geniale nel suo campo. Ma manca coesione sistemica, con territori, categorie e generazioni che si parlano poco.
- Discontinuità istituzionale
Ogni nuova classe dirigente cancella o disconosce ciò che ha fatto la precedente. Nulla dura abbastanza da diventare solido.
- Educazione settoriale
L’intelligenza italiana è creativa, sì. Ma manca di metodo e progettualità a lungo termine. Nella scuola e nell’impresa.
- Scarso investimento sistemico
L’Italia investe poco e male in infrastrutture strategiche: ricerca, digitale, reti collaborative, cultura d’impresa.
Strategie per trasformare il genio in sistema
Perché il genio italiano diventi impatto collettivo, servono sette leve strategiche.
1. Dare continuità alle eccellenze
Basta con l’eterno ripartire da zero. Servono fondazioni autonome, archivi di buone pratiche, “ambasciate di competenza” nei territori.
2. Creare infrastrutture per il talento
Incubatori, prototipatori, mentor, fondi. Ma anche soft skills, proprietà intellettuale e project management nei percorsi formativi.
3. Formare al pensiero sistemico
Non basta essere bravi in una materia. Serve pensiero trasversale, problem-solving collettivo, educazione civica attiva e interdisciplinarità fin dalla scuola.
4. Legare creatività ed esecuzione
Ogni artista ha bisogno di un ingegnere. Ogni idea ha bisogno di una filiera. Serve cultura del prototipo, del testing, del miglioramento continuo.
5. Fare sistema tra territori
Costruire reti interregionali di eccellenza e una piattaforma digitale nazionale del talento diffuso. Non più 20 micro-Stati regionali.
6. Valorizzare il capitale umano
Incentivi per chi crea valore sociale, culturale, educativo. Carriere ibride. Meritocrazia vera, anche fuori dai percorsi tradizionali.
7. Coltivare memoria e cultura del possibile
Musei dell’innovazione italiana. Archivi delle “invenzioni perdute”. E premi per chi riesce a riprendere idee italiane dimenticate e trasformarle in innovazione reale.
Conclusione: il dovere di diventare tuono
L’Italia non ha un problema di cervelli. Ne ha semmai troppi incompresi, dispersi, malgestiti.
Non ci manca la luce.
Ci manca la corrente.
Serve un progetto nazionale (anche culturale, non solo politico) per trasformare la creatività individuale in impatto collettivo.
Per fare tuono, e non solo lampi.
Per smettere di stupire il mondo... e cominciare a guidarlo.

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