TARI, la tassa invisibile che divide i Comuni e i cittadini

La tassa sui rifiuti, oggi ribattezzata TARI, è la croce e la delizia della finanza pubblica locale. Croce, perché pesa sui bilanci dei cittadini e grava su tutti i residenti, proprietari e inquilini compresi. Delizia, perché per i Comuni rappresenta la seconda voce di entrata più importante dopo i trasferimenti statali.

L’imposta che nessuno ama
A differenza dell’IMU, che colpisce la proprietà immobiliare ed è più difficile da evadere, la TARI si basa sul possesso o la detenzione di un immobile. È legata ai metri quadrati e al numero dei componenti del nucleo familiare, ma non si ancora a un diritto reale come la proprietà. Per questo molti scelgono di non dichiarare, o semplicemente smettono di pagare.

Il paradosso dei sindaci
Nei piccoli Comuni il problema diventa politico. Riscuotere con fermezza significherebbe inimicarsi intere famiglie, e in territori dove ogni voto conta i sindaci preferiscono chiudere un occhio. Il risultato? I contribuenti onesti pagano anche per chi si sottrae al tributo.

Il nodo delle scelte impopolari
La TARI è il simbolo di un più ampio dilemma amministrativo: come conciliare consenso elettorale e interesse collettivo. È la stessa logica che frena l’ampliamento delle strade strette e congestionate, perché comporterebbe espropri e inevitabili malumori tra i proprietari.
Così si rinvia, si media, si rimanda alle calende greche.

Una finanza locale fragile
Dietro la questione dei rifiuti si nasconde il vero volto della finanza comunale: entrate insufficienti, evasione diffusa e una politica che spesso non ha il coraggio di imporre regole uguali per tutti. La TARI non è solo una tassa: è il termometro della distanza, ancora troppo grande, tra amministratori e cittadini.

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