Sbagliare è umano, mentre continuare ( a sbagliare) è diabolico |
Quando le leggi diventano immutabili: il mito dei successi mai realizzati
Il Frutto e l’Albero: la Libertà di Cadere Lontano
Ci sono padri che mettono pistole e coltelli nelle mani dei propri figli, come se la violenza fosse un’eredità naturale da trasmettere. Ci sono padri che hanno conosciuto il carcere e scelgono invece di far studiare i propri figli, sperando che diventino persone perbene. In entrambi i casi, la domanda sorge spontanea: può un frutto cadere lontano dal proprio albero?
Il proverbio popolare suggerisce che i figli, inevitabilmente, assomigliano ai genitori. È un’immagine semplice, quasi rassicurante: il destino racchiuso nella radice, il cammino già tracciato. Ma la realtà è molto più complessa. L’ambiente familiare, certamente, imprime al bambino una prima impronta, modellandone il linguaggio, i valori, le paure. Tuttavia, questa impronta non determina il destino in modo assoluto. Il figlio non è mai una copia perfetta del padre; è un’eco, una variazione, un contrappunto. Può assomigliargli, respingerlo, o cercare un sentiero completamente diverso.
Esistono storie di figli che, nati in contesti di violenza e criminalità, hanno scelto la via opposta, trasformando l’eredità paterna in monito di cambiamento. Psicologia e sociologia confermano che questo processo è possibile: ciò che determina la rotta di una vita è una complessa interazione tra radici, vento e terreno. Le radici sono la famiglia, il primo contatto con il mondo; il vento è il contesto sociale, le amicizie, le figure di riferimento che si incontrano; il terreno è costituito dalle opportunità educative e dall’energia interiore, quella resilienza che permette di rialzarsi e scegliere.
C’è una forza invisibile che spinge il frutto a rotolare lontano dall’albero. È fatta di coscienza, di dolore trasformato in volontà, di incontri che aprono prospettive nuove. Ciò che sembra destino, spesso è una scelta consapevole: la scelta di non ripetere un errore, di riscattare una storia, di costruire un futuro diverso. In questo senso, il frutto può cadere lontano, e talvolta farlo diventa un atto di amore verso se stessi e verso chi ha cercato di proteggerti.
Pensa a Luca, cresciuto in un quartiere segnato dalla criminalità. Suo padre aveva un passato di reati e finì in carcere quando lui era ancora piccolo. Il ragazzo avrebbe potuto seguire quella strada, attratto dalla familiarità e dalla mancanza di alternative. E invece scelse di studiare, trovò in un insegnante un modello e oggi lavora come educatore, impegnato ad aiutare ragazzi in difficoltà. Il suo cammino è una testimonianza di come l’eredità paterna possa trasformarsi in monito, e di come un frutto possa distaccarsi dal tronco.
Poi c’è Sofia, figlia di genitori appartenenti a una famiglia molto religiosa. Cresciuta con valori di sacrificio e disciplina, Sofia decide di diventare artista, vivendo lontano dalle regole rigide che aveva imparato. Pur mantenendo rispetto e amore per i genitori, la sua scelta dimostra che il frutto può prendere direzioni inaspettate, perché il terreno in cui cresce è fatto anche di aspirazioni personali.
Esistono anche storie più complesse, come quella di Marco, il cui padre è un ex detenuto che, dopo anni dietro le sbarre, dedica la propria vita a far studiare i figli. Marco cresce con la consapevolezza del dolore e dell’errore, e sceglie una vita all’insegna della giustizia: diventa avvocato specializzato in diritti umani. Qui il frutto non solo cade lontano, ma porta con sé la volontà di riscattare la storia dell’albero stesso.
Infine, ci sono esempi di figli che restano molto vicini al loro albero. Come Pietro, che cresce in una famiglia di artigiani e sceglie di continuare la tradizione, senza stravolgere il destino. Il suo non è un atto di imitazione passiva, ma una scelta consapevole, nutrita da amore e rispetto per le radici. Anche questa è una forma di caduta: vicina, ma piena di senso.
Il proverbio “la mela non cade lontano dall’albero” resta una metafora potente, ma non una legge. L’albero offre la prima impronta, ma non scrive il destino. Il frutto decide dove cadere. Alcuni restano all’ombra del tronco, altri si lasciano trasportare dal vento, trovando terreni inaspettati. E talvolta, proprio quella caduta lontana diventa la più bella forma di libertà.
Il frutto e il vento
E in quel viaggio, ogni caduta è una storia.
Io non crollo con i like, voi sì
Non sono a caccia di like.
Il like più importante è quello che mi do io, ogni giorno, quando mi guardo allo specchio e so di essere rimasto fedele a me stesso. Non è un numero a stabilire il mio valore, ma la mia coscienza.
Qualcuno, vedendo i miei inizi lenti, crede che mollerò come altre volte. Pensa che i pochi accessi dei primi mesi siano il segno di un fallimento già scritto. E invece è proprio lì che sbagliate: io non mi fermo davanti al silenzio, anzi è nel silenzio che divento più forte.
Mi fanno sorridere certi “grandi del web”: ho proposto uno scambio di link, un gesto semplice, uno scambio alla pari. Risultato? Nessuna risposta. Troppa paura che il loro pallone gonfiato si sgonfi con un confronto vero. Come se io avessi bisogno dei loro utenti o della loro approvazione.
Quando la Giustizia Divina supera quella degli uomini
Ettore Alpi: Il Nome che Mi Salva
O Saturno, che mi lasciasti orfano,mi lasciasti sulla salitaper essere padre e figlio di me stesso.
Enzo P. è il mentore di Ettore Alpi |
Dalla Democrazia Cristiana al Politico Cattolico del Futuro
Storia, crisi e rinascita possibile di un impegno politico ispirato dalla fede
Le radici: la fortuna politica della Democrazia Cristiana
Per comprendere se sia ancora possibile oggi un impegno politico significativo dei cattolici, dobbiamo guardare alla fortuna storica della Democrazia Cristiana (DC) nel secondo dopoguerra.
Erede del Partito Popolare di Don Luigi Sturzo (1919), la DC nacque come argine democratico al comunismo e alternativa alla sinistra marxista. Nel suo successo confluirono:
- Cattolici autenticamente impegnati, che avevano vissuto con sofferenza il ventennio fascista;
- Ex clerico-fascisti riciclati, che vedevano nella DC un rifugio presentabile dopo il crollo del regime;
- Conservatori moderati, reduci dal mondo badogliano, destinati a confluire decenni dopo nel centrodestra berlusconiano;
- Quadri amministrativi e imprenditoriali, interessati a stabilità e continuità più che a ideologia pura.
Tutti insieme formarono un blocco di potere centrista, conservatore nei modi ma progressista nei toni, che occupava i banchi della destra parlamentare, accanto ai missini, pur definendosi "Centro". Questo equilibrio precario reggeva grazie alla forza numerica e alla capacità della DC di parlare a più anime sociali e territoriali, spesso con mediazioni clientelari e paternalistiche, ma anche con figure di alto profilo come De Gasperi, Moro, Andreotti, Fanfani.
Oggi: secolarizzazione e frammentazione del centro
La società italiana è profondamente mutata. I cattolici praticanti sono una minoranza sociologica e spesso divisi culturalmente. Il Vangelo non è più codice condiviso nemmeno tra coloro che frequentano le chiese.
Il quadro politico attuale vede:
- Un centro affollato, dove tra centrismi liberali, riformismi d’occasione, cattolici “disinnescati” e ex democristiani riciclati si litiga per il 5-7% del consenso;
- Partitini nati da nobili intenzioni cristiane finiti ostaggio di logiche di scambio, spesso irrilevanti senza un “contentino” nelle trattative di governo;
- Una Chiesa che tace sulla politica, o che parla genericamente al sociale, ma non forma più una classe dirigente politica.
Eppure, qualcosa potrebbe cambiare. La nuova enfasi sul sociale nella Chiesa, ipoteticamente guidata da un Papa Leone (figura simbolica di forza e dottrina), riporta in auge Sturzo, De Gasperi, Toniolo e la Dottrina Sociale della Chiesa.
Ma attenzione: non sarà più tempo di partiti-massa. Sarà tempo di testimonianze forti, piccole reti, politici credibili.
Verso il futuro: la Carta del Politico Cattolico
Oggi chi crede in un nuovo impegno dei cattolici nella cosa pubblica deve pensare in termini diversi rispetto al passato. Nessuna riedizione nostalgica della DC. Nessuna delega all’alto clero. Nessun partito confessionale.
Serve una nuova generazione di cattolici formati, liberi, coraggiosi. Serve un profilo nuovo, incarnato nella Carta del Politico Cattolico del Futuro:
La Carta del Politico Cattolico del Futuro
(Sintesi)
- Radicato nella fede, non prigioniero dell’identità
- Libero nel pensiero, saldo nei valori
- Competente e formato
- Al servizio del bene comune, non del tornaconto
- Popolare ma non populista
- Costruttore di ponti, non di fazioni
- Visionario e realista
- Sobrio nello stile, integro nella condotta
- Accogliente, non accondiscendente
- Seminatore di futuro
“Non vi conformate alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente.” (Romani 12,2)
Conclusione: testimoni, non nostalgici
Il politico cattolico del futuro non nasce da un progetto partitico, ma da un percorso personale e comunitario: nella parrocchia, nell’università, nell’impresa, nella cittadinanza attiva.
Se la politica è davvero, come diceva Paolo VI, “la forma più alta di carità”, allora è tempo di un nuovo protagonismo laicale, fatto di radici profonde e azione concreta.
La Carta del Politico Cattolico del Futuro può essere il primo passo. Un piccolo seme, per una grande semina.
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Israele tra politica e autodistruzione: il libro che scuote le coscienze
In un momento storico segnato da tensioni interne e conflitti esterni, Il suicidio di Israele di Anna Foa emerge come una lettura potente e provocatoria. L’autrice ci porta nel cuore di uno Stato che sembra camminare sul filo del rasoio, tra derive politiche, tensioni sociali e dilemmi morali che rischiano di compromettere la sua stessa sopravvivenza.
| Anna Foa |
Foa parte da una constatazione inquietante: Israele, già prima degli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, stava vivendo una profonda crisi interna. Le proteste contro il governo, le divisioni tra correnti sioniste e il crescente isolamento internazionale hanno creato una situazione in cui la democrazia sembra vacillare. Ma il “suicidio” di cui parla l’autrice non è solo militare. È politico, etico, sociale. È il rischio che le scelte interne portino a un isolamento morale e a un indebolimento dello Stato stesso.
Il libro affronta con chiarezza e rigore temi difficili: la discriminazione dei cittadini non ebrei, la legislazione che enfatizza il carattere ebraico dello Stato, e la tensione tra antisemitismo e legittima critica politica. Foa invita il lettore a distinguere tra odio verso gli ebrei e critica verso le politiche dello Stato di Israele, aprendo uno spazio di riflessione necessario e urgente.
Attraverso la storia del sionismo, dai suoi inizi più liberali e dialoganti fino alle correnti nazionaliste e religiose più estreme, il libro dipinge un quadro in cui le tensioni ideologiche interne rischiano di minare la stabilità e la coesione dello Stato. È un invito a guardare oltre la cronaca degli eventi, a comprendere le dinamiche profonde che plasmano il destino di Israele.
Ma Il suicidio di Israele non si limita a denunciare problemi. Foa indica anche possibili vie d’uscita: il riconoscimento dei diritti di tutti i cittadini, la fine dell’occupazione e il dialogo con i palestinesi. In un Paese in cui la politica interna spesso sovrasta le priorità morali e sociali, l’autrice ci ricorda che la sopravvivenza di una democrazia dipende tanto dalla capacità di affrontare le proprie contraddizioni quanto dalla forza militare.
Leggere questo libro significa confrontarsi con una realtà complessa, sfidante, talvolta scomoda. È una lettura che scuote, che provoca domande difficili, e che lascia il lettore con la consapevolezza che il futuro di Israele non è scritto, e che ogni scelta interna ha conseguenze sul destino dell’intero Paese.
Il Custode della Penna
Era una sera di dicembre, gelida e silenziosa, quando lo incontrai per la prima volta nei pressi di piazza Statuto. Le luci dei lampioni tremolavano tra la nebbia e i sampietrini bagnati riflettevano ombre lunghe e sottili. Non c’era anima in giro, eppure sentii un brivido quando lui comparve all’improvviso, come se fosse sempre stato lì, nascosto nell’aria stessa. «Non avere paura», disse, e la sua voce era calma, ferma, come se avesse sempre conosciuto il mio pensiero prima ancora che lo formulassi.
Mi parlò di altri scrittori che lo avevano seguito, di successi già scritti nel libro del destino, di recensioni e applausi che avrei avuto, e di un solo rischio: restare fumo nell’aria, schiuma nel mare. Non era un’offerta, era un comando velato di promessa: sarei diventato la sua penna, il suo strumento. Sentii un brivido di terrore e curiosità insieme.
E così accettai, sospinto da un’attrazione che non comprendevo. Non fu lunga l’attesa: la storia iniziò a riversarsi nella mia mente come acqua nera. Scene, parole, pensieri che non sentivo miei si formavano con una chiarezza spaventosa. Non era solo ispirazione, era come se lui, questa voce viva, si insinuasse nelle mie vene e nelle mie ossa, riscrivendo ciò che ero e ciò che credevo di sapere.
I protagonisti della storia erano due uomini adulti, sposati, con vite ordinarie. Li vidi ritrovarsi in un albergo ad ore, lontani da occhi indiscreti, e sentii le parole della voce dettarmi sospiri, carezze, corpi che si cercavano con urgenza e curiosità. Ogni gesto, ogni respiro, ogni parola carica di lussuria si insinuava nelle pagine che non avrei mai voluto scrivere. Annotavo quelle scene con mani tremanti, con il vomito della coscienza sul fondo della gola, combattuto tra fascino e disgusto.
Non era la nudità né il desiderio a turbare me, ma l’idea di trasformare quella notte in un romanzo che la normalizzasse, che la rendesse esempio per chiunque avrebbe letto. Rispetto profondamente la loro realtà e il loro sentimento, ma rifiutavo di esserne l’apostolo. Scrivere quelle parole con la voce del Custode dentro di me mi faceva sentire complice di qualcosa che non potevo accettare come mia responsabilità morale.
Alla fine, con il tremore nelle mani e il cuore in subbuglio, lo mandai via. Lo scacciai dalla mia testa, deciso a non diventare portavoce di ciò che non avrei mai voluto propagare. La voce rimase, paziente, sicura che qualcun altro avrebbe completato quella storia. Io rimasi solo, sconosciuto e povero, ma integro nella mia resistenza, consapevole di aver visto la lussuria e la tenerezza, e di aver rifiutato di trasformarle in predica.
Eppure, nella quiete della mia stanza, sapevo che non lo avrei mai davvero scacciato. Sentivo ancora il suo respiro nell’aria, la penna invisibile muoversi tra le mie mani, e un’ombra che sorrideva nell’angolo più oscuro della mente, custode eterno di tutto ciò che potevo essere e non osavo diventare. Il Custode della Penna era lì, paziente e immutabile, testimone del confine sottile tra talento e tentazione, tra scrittura e moralità, tra il desiderio e la resistenza.
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Guida pratica - Come creare un’isola di resistenza dove sei nato
Restare non deve significare arrendersi.
Se vivi in un contesto ostile, degradato o semplicemente sfavorevole alla crescita personale e professionale, puoi comunque costruire un’oasi di libertà, autonomia e sviluppo. Ecco come fare.
1. Emigra con la mente
Non puoi scegliere dove vivi, ma puoi scegliere cosa pensi.
Leggi libri, ascolta podcast e segui contenuti che vengono da contesti evoluti.
Spegni le lamentele quotidiane. Il “telegiornale mentale” del quartiere va disattivato.
Medita e scrivi ogni giorno: crea uno spazio interiore non contaminato.
Principio: il tuo ecosistema mentale dev’essere più forte dell’ambiente che ti circonda.
2. Seleziona relazioni sane
Le persone sono il suolo dove cresci.
Coltiva rapporti solo con chi ti eleva, ti stimola, ti mette in discussione costruttivamente.
Riduci al minimo l’interazione con chi vive nel vittimismo, nel cinismo o nella mediocrità.
Se non trovi alleati localmente, cerca online: gruppi tematici, corsi, forum, mentorship.
Principio: serve una piccola comunità selezionata per non perdere la rotta.
3. Alza i tuoi standard, ovunque tu sia
Anche se vivi in un contesto decadente, tu puoi comportarti come se fossi a Stoccolma.
Cura il tuo lavoro, la tua comunicazione, la tua etica. Nessuno ti vieta di essere eccellente.
Automatizza, organizza, semplifica: l’efficienza personale ti rende libero.
Rifiuta il “così fan tutti”.
Principio: non si resiste col lamento, si resiste con la disciplina.
4. Collegati al mondo esterno
Non chiuderti in una trincea. Apri una finestra sul mondo.
Collabora con realtà fuori dalla tua città o nazione.
Offri i tuoi servizi online, studia con docenti internazionali, crea un’identità digitale.
Lavora per il mondo, anche se resti in paese.
Principio: essere locali per residenza, ma globali per influenza.
5. Diventa un faro silenzioso
La miglior risposta all’ambiente che ti soffoca è una vita straordinaria vissuta con coerenza.
Non giustificarti. Non spiegarti. Non chiedere permesso.
Fai vedere che un’alternativa esiste: incarnala.
Prima o poi, qualcuno ti seguirà.
Principio: non aspettarti approvazione. Offri ispirazione.
In sintesi
Restare dove sei nato può essere un atto rivoluzionario. Ma solo se scegli di non diventare come ciò che ti circonda.
Un’isola non è isolata: è protetta e autonoma.
E può diventare, col tempo, un ponte verso un mondo nuovo.
Dall'Internazionalismo alla Fiera delle Élite
La parabola della sinistra italiana tra abbandono sociale e rivoluzione culturale
Dalle origini al compromesso storico
La sinistra italiana nasce come movimento operaio e popolare, radicato nelle periferie industriali, nelle fabbriche, tra i ceti medi e i lavoratori. Il Partito Comunista Italiano di Berlinguer incarna un modello di lotta sociale e culturale che mira a rappresentare gli interessi delle classi subalterne, con un occhio attento alle questioni nazionali e internazionali.
Con il passare degli anni, però, la sinistra italiana inizia un processo di trasformazione, segnato dal compromesso storico, dall’entrata nel sistema e dalla progressiva moderazione delle istanze popolari in favore di un’apertura europeista e atlantista.
L’allontanamento dalle periferie
Dagli anni ’90 in poi, la sinistra italiana si sposta progressivamente dal cuore operaio e popolare verso le élite urbane, lasciando indietro le periferie e il ceto medio-lavoratore, che sono invece sempre più attratti da politiche sovraniste o populiste.
Questo allontanamento non è solo economico, ma anche culturale: le istanze sociali tradizionali vengono sostituite da temi di identità culturale e diritti civili, spesso percepiti come lontani dai problemi concreti della gente comune.
La rivoluzione culturale e il “festival delle élite”
La sinistra abbraccia così battaglie “culturali” come quelle sui diritti LGBTQ+, il femminismo intersezionale, le politiche migratorie aperte e il politicamente corretto. Questi temi, simbolizzati in eventi come il Gay Pride, diventano il nuovo terreno di conquista elettorale.
Se da un lato queste battaglie sono importanti per la difesa dei diritti, dall’altro esse vengono spesso percepite come un distacco dalle esigenze materiali di chi vive nelle periferie o nelle zone più deindustrializzate, creando un cortocircuito tra la base storica e la leadership.
Il prezzo del globalismo e dell’Europa
L’europeismo convinto, il sostegno incondizionato alle politiche di austerità e la fedeltà ai vincoli NATO accentuano ulteriormente il senso di estraneità che molti lavoratori e ceti medi avvertono verso la sinistra.
Il risultato è una sinistra sempre meno radicata nei territori, sempre più dipendente da settori intellettuali e mediatici, e meno capace di rappresentare gli interessi economici e sociali più tradizionali.
Conclusione: tra sfida e crisi d’identità
La sinistra italiana si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: riconquistare la fiducia delle periferie, recuperare il rapporto con il lavoro e con il ceto medio, senza rinunciare alle sue battaglie identitarie e culturali.
La sfida sarà difficile, perché richiede un equilibrio che finora è mancato: non un abbandono delle nuove istanze, ma una riconciliazione tra diritti civili e giustizia sociale, tra globalismo e radicamento territoriale.
Il Sud che arriva ultimo può diventare il primo: l’isola di progresso che ancora non vediamo
Sud tradito: basta sudditanza ai partiti nazionali
Morti di serie A, cadaveri di serie B
È curioso come la morte, che dovrebbe essere la grande livella, finisca sempre per essere usata come un manganello ideologico. Gianpaolo Pan...
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