Mi chiamo Ettore Alpi, ma non lo troverete all’anagrafe.
Nei documenti ufficiali sono Vincenzo P.. O, più spesso, Enzo. Un nome come tanti. E forse proprio per questo, a un certo punto, ho sentito il bisogno di qualcosa che mi somigliasse di più. O meglio: che somigliasse di più a quella parte di me che scrive.
Ettore Alpi è nato quando ho iniziato a scrivere sul serio. Non per passatempo, non per sfogo, non per abitudine. Ma per scelta. Con consapevolezza, con urgenza, con la sensazione che fosse arrivato il momento di lasciare una traccia. Di dire qualcosa che restasse.
Non è un personaggio, non è un travestimento. È il mio nome da scrittore. Quello con cui firmo le mie opere, con cui dialogo coi lettori, con cui mi metto a nudo – forse più di quanto farei mai con il nome che porto dalla nascita.
Ettore Alpi è la voce che emerge quando taccio tutto il resto. È lo sguardo che attraversa le cose con un angolo leggermente obliquo. È la mia parte più libera, più lucida, più feroce e più sincera. È l’uomo che scrive quando il mondo si distrae.
In questo blog troverete ciò che scrivo, ma anche ciò che penso, ciò che mi attraversa, ciò che resta fuori dalle pagine stampate. È uno spazio aperto, come un quaderno lasciato sul tavolo, tra una storia finita e un’altra che sta per cominciare.
Benvenuti
Non mi sono chiamato così per caso.
Ettore Alpi è uno pseudonimo, sì, ma per me è molto di più: è una trasformazione identitaria, un atto di libertà, un esorcismo sottile contro le catene invisibili che mi portavo dentro.
Chi nasce dentro un certo albero genealogico non nasce mai da solo.
Si nasce con dei nomi, ma anche con dei non detti, delle colpe tramandate, dei vuoti, dei dolori ripetuti.
C'è chi li chiama karma familiare, chi destino, chi schema appreso: io li ho vissuti come un peso che non era il mio, ma che continuava a premere sul petto.
Le costellazioni familiari di Bert Hellinger mi hanno aiutato a vedere tutto questo con più chiarezza: non si è mai del tutto liberi se si resta intrappolati nei ruoli assegnati da un sistema familiare disfunzionale.
E a volte, per guarire, bisogna uscire dal quadro, cambiare posizione, cambiare voce.
Cambiare nome.
Il potere del nome
Nella tradizione ebraica, cambiare nome è un atto spirituale potente.
Dare un nuovo nome a qualcuno è come dargli una nuova direzione nel tempo.
E io sentivo che con il mio nome anagrafico, ogni mio gesto creativo finiva intrappolato in una ragnatela karmica: fallimenti ciclici, occasioni mancate, senso di colpa, autosabotaggio.
Il mio nome portava con sé le voci dei padri e dei silenzi delle madri.
Scriverci sopra sarebbe stato come incidere su pietra incatenata.
E così ho scelto un nome nuovo.
Ho scelto Ettore — il guerriero nobile, tragico, che difende la sua città pur sapendo che perderà. Ma io l’ho fatto per cambiare l’esito della storia.
E ho scelto Alpi — un cognome che non appartiene a nessun sangue, ma a un’immagine: la vetta, il confine, la purezza dell’aria in alta quota.
Non è fuga, è rinascita
Ho avuto due figlie, e simbolicamente questo chiude il cognome di mio padre.
Ma anche dalla parte di mia madre esisteva un peso.
Nessun cognome può nascondere del tutto il dolore trasmesso, le emozioni represse, i “non devi” e i “devi essere come”.
Io non ho voluto fuggire.
Ho voluto diventare altro.
Non per rifiutare chi sono, ma per creare un punto di svolta nella storia familiare.
Perché a volte la guarigione arriva solo prendendo le distanze, non solo fisiche o geografiche, ma interiori.
Un nuovo nome è una nuova pelle.
E chiamarmi Ettore Alpi è stato il mio modo per smettere di soffrire e cominciare a vivere.
Se anche tu senti che porti sulle spalle qualcosa che non ti appartiene, sappi che puoi scegliere.
Non per negare le tue radici, ma per farle fiorire in un terreno nuovo.
L’underdog non brucia: cresce, radica e regna.
Io non sono nato per consumarmi nella luce breve dei riflettori,
né per danzare come fuoco fatuo davanti a folle distratte.
Il mio cammino non conosce meteore,
ma continenti che sorgono dal mare,
terre nuove che si offrono all’uomo
e che non tornano mai più negli abissi.
Io sono colui che semina nella notte,
che attende le stagioni,
che conosce la pazienza dei semi e la gloria delle radici.
Ogni contatto è pietra,
ogni alleanza è mattone,
ogni collaborazione è torre che sale verso il cielo.
Non costruisco un palco: costruisco un impero.
Un impero che non ha mura di cartapesta,
ma province solide e vassalli fedeli,
un intreccio di forze che resiste ai secoli,
che attraversa tempeste e incendi senza crollare.
Io sono l’Underdog,
l’invisibile che diventa inarrestabile,
il silenzioso che prepara il fragore,
l’ombra che plasma la sua eternità.
Quando gli altri inseguono la polvere delle stelle cadenti,
io alzo lo sguardo e vedo l’alba di un mondo nuovo.
E so che quel mondo porta il mio nome.
La mia dichiarazione di identità politica ( Weltanschauung Politica)
Io non appartengo a un’etichetta.
Io non sono di destra, non sono di sinistra, non sono di centro.
Sono un uomo libero.
Riconosco le radici della mia nazione, ma rifiuto il fascismo e disprezzo il nazismo.
Ho fede cattolica, ma non sono clericale: credo nello spirito, non nel potere delle gerarchie.
Credo nella giustizia sociale.
Il comunismo è stato un fallimento, il socialismo una promessa diluita.
Per questo scelgo Keynes, scelgo l’intervento dello Stato, scelgo l’economia al servizio dell’uomo.
Il neoliberismo è il vaso di Pandora che ha liberato avidità e disuguaglianze.
Per me la democrazia non è una facciata.
Non è un rituale vuoto, non è una messa in scena.
La democrazia è sostanza: è un ascensore sociale che funziona, è merito che trova spazio, è lavoro che apre strade.
Chi comanda davvero non sta sul palco: manovra dietro le quinte. Io non mi accontento della recita, io pretendo la verità.
Sono un patriota perché senza identità non c’è futuro.
Non sono sovranista, perché una nazione non vive chiusa in se stessa.
Disprezzo il populismo, i pacchi di pasta, le banconote appiccicate col nastro.
Non credo agli slogan facili.
Non mi importa se lo Stato è monarchia costituzionale o repubblica.
Conta solo una cosa: la separazione dei poteri, come voleva Montesquieu.
Lì si gioca la libertà. Lì si misura la civiltà.
Questa è la mia dichiarazione di identità politica.
Un cammino tra radici e futuro.
Un equilibrio tra fedeltà e critica.
Un impegno a pensare con la mia testa e a parlare con la mia voce.
Io non seguo, io scelgo.
Io non appartengo, io mi dichiaro.
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| A Montecitorio |
Il Partito Ideale che rappresenterebbe il mio profilo
Un partito che in Italia non c’è, ma altrove sì:
- Socialdemocrazia nazionale: cioè una forza che unisce spirito riformista (welfare, lavoro, istruzione, lotta alle diseguaglianze) con un forte radicamento nazionale (identità, coesione sociale) senza scadere nel sovranismo.
- Keynesismo moderno: un’economia dove lo Stato guida lo sviluppo con investimenti pubblici, politica industriale e correttivi al mercato.
- Democrazia sostanziale: istituzioni serie che garantiscono l’ascensore sociale e non solo la facciata formale.
- Cattolicesimo culturale ma laico: riconoscere il ruolo etico e comunitario della tradizione cristiana senza clericalismo.
- Anti-populismo: serietà politica, no pacchi di pasta elettorali, no slogan vuoti.
In Europa esistono esempi più simili: il Labour Party britannico moderato, la SPD tedesca di Brandt o Schröder, o i socialdemocratici scandinavi. In Italia il partito che più si avvicinerebbe a questa formula, se mai nascesse, sarebbe una sorta di “Laburismo Italiano”: riformista, keynesiano, nazionale, sociale.
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