Ombre del neoliberismo: come un’ideologia ha cambiato il mondo (non sempre in meglio)

Il neoliberismo è stato per decenni il motore invisibile della politica e dell’economia mondiale. Deregolamentazione, privatizzazioni, tagli al ruolo dello Stato: queste le ricette che, a partire dagli anni Ottanta, hanno promesso crescita, efficienza e modernizzazione. Ma a distanza di tempo, guardando agli effetti concreti, il bilancio è tutt’altro che positivo.


Il primo punto critico riguarda la disuguaglianza. Negli Stati Uniti, il cuore del modello neoliberista, la forbice tra ricchi e poveri si è allargata a dismisura. I salari della classe media sono rimasti fermi per decenni, mentre i patrimoni dei super-ricchi hanno raggiunto livelli mai visti. La crisi del 2008 è stata il momento in cui le contraddizioni sono esplose: una deregolamentazione spinta della finanza ha portato al crollo dei mutui subprime e al fallimento di giganti come Lehman Brothers, con milioni di famiglie che hanno perso casa e lavoro.

In America Latina, la stagione delle riforme strutturali degli anni Ottanta e Novanta è stata devastante. Paesi come l’Argentina hanno vissuto una vera e propria tragedia sociale: il default del 2001 ha congelato i risparmi dei cittadini, fatto esplodere la disoccupazione e spinto metà della popolazione sotto la soglia di povertà. Per molti, la promessa di modernizzazione si è tradotta in un peggioramento radicale della vita quotidiana.

Il Regno Unito di Margaret Thatcher è diventato il simbolo europeo del neoliberismo. Londra si è trasformata in un centro finanziario globale, ma al prezzo della chiusura delle miniere e della deindustrializzazione di intere regioni. Le Midlands e il Nord-Est, un tempo culle di lavoro operaio, sono state ridotte a terre dimenticate, con comunità impoverite e senza prospettive, cicatrici ancora visibili oggi.

In Grecia, il volto più duro del neoliberismo si è visto durante la crisi del debito. Dal 2010 in poi, austerità è stata la parola d’ordine: pensioni tagliate, stipendi pubblici ridotti, ospedali senza fondi. Il debito non è stato risolto, ma intere generazioni si sono ritrovate senza futuro. La disoccupazione giovanile ha sfiorato il 60% e migliaia di ragazzi hanno lasciato il paese in cerca di una vita migliore.

Poi c’è la questione ambientale. In Brasile, la corsa a produrre carne e soia per l’export ha accelerato la deforestazione dell’Amazzonia, con danni irreversibili per il clima globale. In molti paesi africani, la logica neoliberista ha portato alla privatizzazione delle risorse naturali: acqua, petrolio, minerali. Il risultato? Multinazionali arricchite e popolazioni locali escluse persino dall’accesso a beni primari.

Il neoliberismo non ha cambiato solo l’economia: ha trasformato la società e il modo stesso in cui vediamo i diritti. Servizi pubblici come sanità e istruzione sono diventati sempre più spesso beni da comprare, anziché diritti garantiti. E questo ha minato la fiducia nello Stato, alimentando la sensazione diffusa che il potere reale non sia più nelle mani dei cittadini, ma di élite economiche e finanziarie.

Oggi, guardando indietro, molti economisti e persino istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale ammettono che le ricette neoliberiste non hanno portato alla crescita promessa. Hanno invece alimentato disuguaglianze, precarietà e vulnerabilità, lasciando un mondo più fragile e più diviso.

La domanda che resta è semplice ma enorme: dopo quarant’anni di neoliberismo, siamo in grado di immaginare un modello diverso, capace di garantire sviluppo senza sacrificare giustizia sociale, democrazia e ambiente?

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