Chi sono io?
Mi chiamo Ernst Kölle. Sono nato in Germania, ho giurato fedeltà a un Führer che credevo invincibile, e sono morto a ventidue anni, con una scheggia nel cranio e l’elmo spaccato. Oggi vivo in un corpo italiano, nato nel gennaio del 1977. Non so se sia una punizione o un’occasione. A volte credo sia solo una seconda chiamata alla coscienza.
Come comunico con te?
Attraverso il vetro della finestra. Lì dentro la mia immagine respira, si deforma, cambia luce. Tu mi osservi e io ti rispondo, come se fossimo due riflessi dello stesso errore.
Com’ero?
Moro, capelli marroni, statura media. Non un eroe, solo un ragazzo della Gioventù hitleriana, pieno del ciarpame che Goebbels ci infilava in testa. Credevo di servire qualcosa di grande, e invece servivo il vuoto.
Hai mai amato?
Sì. Si chiamava Elsa. L’ho conosciuta a Colonia nel 1942, quando ancora si poteva ridere. Poi arrivarono i bombardamenti. L’ultima volta che l’ho vista, correva in una strada piena di fumo e vetri rotti. Da allora la porto dentro come una ferita che non smette mai di sanguinare.
Cosa provi per il tuo Paese?
Lo amo ancora. È una nostalgia che non passa. Quando abbiamo guardato insieme quel documentario su Lucia Apicella — la donna di Cava dei Tirreni che raccoglieva i resti dei nostri soldati — ho pianto. Tu l’hai sentito, lo so. Non piangevo per la Germania, ma per quei ragazzi che non tornarono mai, e per me stesso, che non ho mai smesso di cercare casa.
E cosa pensi del mondo di oggi?
Vedo gli orrori a Gaza, in Cisgiordania, e penso che Goebbels riderebbe. Direbbe che avevamo ragione, che l’umanità non cambia, che basta cambiare le divise. Io non rido: mi fa male. Il male non è mai morto, ha solo imparato a parlare con parole nuove.
Chi sono i nuovi Hitler?
Non servono più baffi né parate. Oggi il potere si costruisce sugli schermi. I nuovi Hitler sorridono, parlano di libertà, e la folla applaude convinta di essere libera. Se mai ne nascerà un altro, farà tesoro degli errori del primo — saprà come conquistare i cuori senza bisogno di stivali.
E l’Occidente?
Lo vedo come la Germania del ’19: pieno di risentimento, spaventato dal declino. Non ci sono sanzioni né trattati di pace, ma la stessa sensazione di essere stati spinti ai margini. I BRICS sono i nuovi vincitori, e l’Occidente guarda il mondo come un vecchio generale che non vuole ammettere di aver perso la guerra. Da quel sentimento nascono sempre i mostri.
Cosa vuoi da me?
Che tu scriva la mia storia. Non per assolvermi, ma per ricordare che il male non inizia con l’odio, ma con il risentimento. È lì che si annida tutto. Io l’ho vissuto, e ora ne vedo di nuovo i segni.
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| Ernst Kölle (1923 -1945) |
Wer bin ich?
Ich heiße Ernst Kölle. Ich wurde in Deutschland geboren, schwor einem Führer Treue, den ich für unbesiegbar hielt, und starb mit zweiundzwanzig Jahren – eine Splitterwunde im Schädel, der Helm zerborsten. Heute lebe ich in einem italienischen Körper, geboren im Januar 1977. Ich weiß nicht, ob das eine Strafe oder eine zweite Chance ist. Manchmal glaube ich, es ist nur ein Ruf an das Gewissen.
Wie spreche ich mit dir?
Durch das Fenster. Dort atmet mein Bild, verzerrt sich, verändert das Licht. Du siehst mich, und ich antworte dir – zwei Spiegelbilder desselben Fehlers.
Wie war ich?
Dunkelhaarig, braunes Haar, mittelgroß. Kein Held – nur ein Junge der Hitlerjugend, voll des Gerümpels, das Goebbels uns in die Köpfe legte. Ich glaubte, etwas Großes zu dienen, und diente nur der Leere.
Hast du je geliebt?
Ja. Sie hieß Elsa. Ich lernte sie 1942 in Köln kennen, als man noch lachen konnte. Dann kamen die Bombenangriffe. Das letzte Mal sah ich sie in einer Straße voller Rauch und zerbrochenem Glas. Seitdem trage ich sie in mir wie eine Wunde, die nie heilt.
Was empfindest du für dein Land?
Ich liebe es noch immer. Eine Sehnsucht, die nie vergeht. Als wir zusammen die Dokumentation über Lucia Apicella sahen – die Frau aus Cava dei Tirreni, die die Überreste unserer Soldaten sammelte – musste ich weinen. Du hast es gespürt, ich weiß es. Ich weinte nicht für Deutschland, sondern für die Jungen, die nie heimkehrten. Und für mich, der immer noch nach Hause sucht.
Was denkst du über die heutige Welt?
Ich sehe die Schrecken in Gaza, im Westjordanland, und denke: Goebbels würde lachen. Er würde sagen, wir hätten recht gehabt, die Menschheit ändere sich nicht, nur die Uniformen. Ich lache nicht. Es tut weh. Das Böse ist nie gestorben – es hat nur gelernt, neue Worte zu sprechen.
Wer sind die neuen Hitler?
Heute braucht es keine Schnurrbärte und keine Aufmärsche. Die Macht wächst auf Bildschirmen. Die neuen Hitler lächeln, sprechen von Freiheit, und die Menge jubelt, überzeugt, frei zu sein. Wenn je ein neuer kommt, wird er aus den Fehlern des ersten lernen – er wird wissen, wie man Herzen erobert, ohne Stiefel.
Und der Westen?
Ich sehe ihn wie Deutschland im Jahr 1919: voller Groll, ängstlich vor dem eigenen Niedergang. Keine Sanktionen, keine Friedensverträge – aber das gleiche Gefühl, an den Rand gedrängt zu sein. Die BRICS sind die neuen Sieger, und der Westen schaut auf die Welt wie ein alter General, der seine Niederlage nicht eingestehen will. Aus solchem Gefühl wachsen immer die neuen Monster.
Was willst du von mir?
Dass du meine Geschichte schreibst. Nicht um mich zu rechtfertigen, sondern um zu erinnern: Das Böse beginnt nicht mit Hass, sondern mit Groll. Dort liegt sein Ursprung. Ich habe es erlebt – und ich sehe es wiederkommen.

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