La Destra badogliana: dall’ombra democristiana al berlusconismo, fino al potere nel 2025

Pietro Badoglio

1. Introduzione: una destra che non si chiama destra

Nella narrazione ufficiale della Prima Repubblica, si parla spesso di due poli: la Democrazia Cristiana al centro e il Partito Comunista Italiano all'opposizione. In mezzo, però, si muoveva una galassia politica poco definita ma potentissima: una destra moderata, silenziosa, istituzionale, priva di un’identità esplicita ma dotata di un’eccezionale capacità di sopravvivenza e adattamento.

Quella che, per comodità (e con un pizzico di ironia), possiamo chiamare “destra badogliana”.

Ma perché questo nome?

Pietro Badoglio, maresciallo d’Italia, è l’uomo che traghettò il Paese dall’alleanza con Hitler all’armistizio con gli Alleati nel 1943. Figura ambigua e simbolica, non antifascista ma neanche più fascista, rappresenta quell’Italia che sopravvive ai crolli rimanendo nel mezzo, voltando pagina senza mai davvero cambiare.
Chiamare “badogliana” questa destra è un modo per descriverne l’opportunismo istituzionale, l’attendismo ideologico, il trasformismo di sopravvivenza, la capacità di stare sempre nella zona grigia dove si esercita il potere senza urlarlo. È la destra che non muore mai, perché non si espone mai fino in fondo.

Questa destra non aveva un partito, ma aveva lo Stato. Era presente nei ministeri, nelle prefetture, nelle banche pubbliche, nella RAI, nelle imprese a partecipazione statale, nelle fondazioni bancarie e nelle università. Non faceva ideologia, faceva prassi. Controllava. Mediava. Conservava.


2. Una destra nel corpo della DC

Durante la lunga stagione della Prima Repubblica (1946–1992), l'Italia fu governata ininterrottamente dalla DC. All’interno di quel partito coesistevano anime molto diverse: dalla sinistra sociale di Dossetti ai conservatori alla Andreotti.
Proprio in queste correnti più “centriste verso destra” si annidava la destra badogliana, erede in parte della tradizione monarchica, clericale e anticomunista che non poteva esprimersi sotto forma di partito autonomo, a causa del peso storico del fascismo e della Costituzione antifascista.

Era una destra di gestione, non di ideologia. Preferiva gli equilibri alle rivoluzioni, l’ordine alla trasparenza, il compromesso alla rottura. Parlava in codice: “difesa dei valori”, “ordine costituito”, “responsabilità istituzionale”.


3. Il pentapartito e la gestione del potere

Negli anni ’80, con la stagione del pentapartito (DC, PSI, PSDI, PRI e PLI), questa destra si rafforzò ulteriormente. Alleandosi con i socialisti craxiani, più pragmatici che progressisti, trovò uno spazio perfetto: potere senza ideologia, gestione senza alternativa.
Il Movimento Sociale Italiano, erede dichiarato del fascismo, era confinato all’opposizione, e la sinistra comunista non era ancora ritenuta presentabile al governo, specie in un Paese a sovranità limitata come l’Italia della Guerra Fredda.

Il mantra era uno solo: tenere lontani i comunisti dal governo, con ogni mezzo possibile. Anche a costo di allearsi col diavolo, o con la corruzione sistemica.


4. Tangentopoli e la grande frattura

Tra il 1992 e il 1994, con le inchieste di Mani Pulite, il sistema dei partiti implose. La DC si sciolse, il PSI sparì, e improvvisamente la destra moderata si trovò senza casa politica.
Nel frattempo, il PCI era diventato PDS e si preparava a prendere finalmente le redini del governo. Per molti settori economici, religiosi, istituzionali e industriali, il rischio che “i comunisti mangiassero i bambini” sembrava improvvisamente reale.

Fu in questo vuoto che emerse Silvio Berlusconi, imprenditore televisivo, uomo vicino a Craxi, dotato di mezzi, carisma e un potente apparato mediatico. La sua discesa in campo nel 1994 rappresentò l’atto di rifondazione della destra moderata italiana. Una destra che non si chiamava destra, ma “liberale”, “popolare”, “antitasse”, “del fare”.


5. Il travaso: la mutazione genetica del potere

Forza Italia fu il veicolo perfetto per il travaso della classe dirigente badogliana della Prima Repubblica. Ex democristiani, socialisti, liberali e tecnici entrarono nei listini berlusconiani, riciclandosi in nuovi ruoli.
Il collante ideologico fu sempre lo stesso: anticomunismo, ordine, difesa della proprietà, garantismo selettivo.

La narrazione cambiò: non più “bambini mangiati”, ma “toghe rosse”, “giudici comunisti”, “bolscevichi con l’Euro”. Lo stile mutò: non più il latino dei circoli romani, ma lo show televisivo di Emilio Fede e i titoli sparati del Giornale. Ma la sostanza era sempre quella: una destra di sistema che rifiutava l’idea di sinistra al potere.


6. Il lascito: dal Cavaliere alla Meloni

Con la progressiva uscita di scena di Berlusconi, e il crollo del suo carisma personale, parte di quella destra si è riversata prima in governi tecnici (Monti, Letta, Draghi), poi nel nuovo centrodestra meloniano. Anche oggi, molte delle classi dirigenti politiche e amministrative non derivano tanto da un pensiero conservatore europeo, quanto dalla tradizione badogliana della sopravvivenza e dell’equilibrismo.


7. 2025: il ritorno silenzioso (e permanente)

Nel 2025, la destra italiana governa con Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, sostenuta da una maggioranza compatta che ha archiviato l’era del “centrodestra allargato”. Fratelli d’Italia ha assorbito l’elettorato più ideologico della destra post-MSI, ma al governo è riemersa con forza la vecchia anima badogliana.

Funzionari esperti, dirigenti ex-DC, tecnici ministeriali riciclati, apparati amministrativi legati ai governi precedenti: il cuore dello Stato non è stato rivoluzionato, ma lentamente riconquistato da quella destra che non si proclama tale, ma si limita a essere presente, operativa, resistente al cambiamento.

Molti ruoli chiave — dalle aziende partecipate ai gabinetti ministeriali — sono occupati da professionisti che erano già in sella sotto Berlusconi, Letta, Draghi. La rottamazione non è mai avvenuta davvero. La cultura dell’equilibrio, del “tenere i nervi saldi”, della prudenza istituzionale, si è ripresentata con abiti nuovi: nazionalismo a parole, realpolitik nei fatti.

Nel frattempo, l’opposizione — una sinistra divisa e sempre in fase identitaria — continua a non riuscire a mangiare i bambini, né tantomeno a governare davvero. La paura del comunismo non serve più. Ora si usano parole nuove: globalismo, gender, elite, Bruxelles. Ma il meccanismo è lo stesso.

Il potere vero — quello che non si vede ma si sente — non si fa eleggere, si fa confermare. E in questo, la destra badogliana è ancora una volta protagonista, perfettamente integrata nel sistema che ha contribuito a plasmare per oltre settant’anni.

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