Lettera aperta a Giorgia Meloni da un socialdemocratico cattolico

Cara Giorgia,

nel mio blog mi definisco socialdemocratico, ma sono anche un cattolico. Non vedo contraddizione in questo: la giustizia sociale e la dignità umana sono valori che affondano le radici sia nella dottrina cristiana che nel pensiero socialista originario.

Ti ricordo che Benito Mussolini, prima di fondare i Fasci di combattimento, era socialista e direttore de L’Avanti!. La rottura con il Partito Socialista avvenne allo scoppio della Grande Guerra, quando Mussolini, sostenitore dell’interventismo, si scontrò con la neutralità che il partito voleva mantenere. Il resto è storia: la “vittoria mutilata”, le delusioni di Versailles e il disincanto di un Paese che si era sentito tradito.

Fu un’umiliazione doppia: prima quella di essere sputtanati dai bolscevichi, che resero pubbliche le clausole segrete del Patto di Londra, mostrando al mondo i motivi per cui avevamo pugnalato alle spalle gli Imperi Centrali — nostri alleati da trent’anni — e poi quella di essere gabbati da Francia e Gran Bretagna, con il beneplacito del presidente Wilson.
Pare che siamo pugnalatori di spalle seriali! Peccato che, in questo Paese, c’è chi a destra e a sinistra si vanta ancora di essere un emulo di Bruto e Cassio. Nessuno è mai riuscito a correggere questo difetto, nemmeno i sionisti.

L’anima socialista rimase in Mussolini, specialmente nell’area di sinistra del Partito Nazionale Fascista, anche se il compromesso con la Corona sabauda — che gli consentì la presa del potere nel 1922 — spinse il suo governo su posizioni più conservatrici, a favore delle classi dominanti e per stroncare il bolscevismo.

Quell’anima socialista, sopita, sopravvisse fino al 1945, anche se più come retorica che come pratica, sotto la Repubblica Sociale Italiana. Non voglio riaprire vecchie ferite, perché dal mio punto di vista l’Italia in quegli anni fu tradita da tutti, compreso Mussolini: avremmo perso l’indipendenza comunque, che fossero stati i tedeschi o gli Alleati a prevalere. Il vicolo cieco in cui ci eravamo infilati come nazione aveva un solo esito possibile: diventare uno Stato di seconda importanza, al traino dei tedeschi o degli americani.

Solo una cosa era certa: mai dell’Unione Sovietica, che pure aveva sconfitto il nazismo al prezzo di oltre venti milioni di morti, ma aveva lasciato l’Italia agli Alleati nella spartizione di Yalta. E poiché fu Mussolini a introdurci in quel vicolo cieco, egli rimane, davanti al tribunale della storia, il più colpevole di tutti. Il suo tentativo meschino di restare in sella come fantoccio del suo allievo oltre il Brennero — che nel frattempo aveva superato il maestro — ne fu la prova.

Non è questa la sede per discutere della damnatio memoriae a cui furono relegati i combattenti repubblichini, né dell’esaltazione dei resistenti antifascisti saliti sul carro del vincitore per meriti reali o presunti. Sappiamo bene che la storia, nei primi cento anni, viene scritta sempre dai vincitori, e che gli storici neutrali arrivano solo molto dopo.
Giampaolo Pansa, a tal proposito, ha avuto il merito di riesumare i torti subiti dagli sconfitti.

Parliamo invece di quella anima socialista sopravvissuta nel dopoguerra dentro il Movimento Sociale Italiano: un partito di reduci e nostalgici, rimasto fino al 1993 fuori dall’arco costituzionale, che nel frattempo aveva imbarcato anche i monarchici.

Fu con la discesa in campo di Berlusconi che avvenne lo sdoganamento del post-fascismo. Ma il MSI dovette cambiare pelle: a Fiuggi, Fini compì la svolta, andò a Gerusalemme, indossò la kippah e pianse lacrime davanti al Muro del Pianto — sincere o motivate, non lo so.

Pure tu, Giorgia, hai fatto lo stesso percorso fino al Popolo delle Libertà, che però, tornato a chiamarsi Forza Italia, è diventato stretto per parecchi di voi. Al Sud, molti, non credendo nel progetto di Fratelli d’Italia, sono rimasti personaggi di secondo piano alla mercé di ex venditori di Publitalia; altri sono saliti sul carro della Lega, mangiando polvere, perché non si cancellano decenni in cui si invocava l’eruzione del Vesuvio per distruggere Napoli.

Capisco che abbiano famiglia, ma è stato come passare dalla padella alla brace.
Tra loro ci sono validi ex-AN, persone contro cui non ho nulla da eccepire, tranne il fatto che militino in un partito che è sempre stato nemico di coloro ai quali ora va a chiedere i voti. È un po’ come se i nazisti pretendessero i voti degli ebrei, tanto per intenderci.

Il governo Monti vi ha dato l’occasione di fondare Fratelli d’Italia, e mi congratulo per il successo che avete avuto. Tuttavia, la mia speranza è che le lacrime di Fini a Gerusalemme fossero sincere, perché sappiamo bene le boiate degli anni ’30 in Germania e, di riflesso, in Italia: le leggi razziali del 1938 e il genocidio che seguì durante la guerra.

Se quelle lacrime fossero state finte, e la vostra adesione servile alle derive nefaste del sionismo fosse solo strumentali alla vostra legittimazione al governo, poco importerebbe ora. Ma molti si chiedono: dicevi la verità quando, dai banchi dell’opposizione, difendevi la causa palestinese, o ora che ti accuso di lustrare le scarpe a Netanyahu?

Io credo che dicessi la verità quando non avevi nulla da perdere.
Ce lo insegna Guicciardini nei Ricordi: “La politica non si fonda su principi astratti, bensì sulla capacità di adattarsi alle circostanze.”

Ti ho accusata di non difendere più la razza italica come Giorgio Almirante, e di esserti piegata a difendere la razza ebraica. Ti ringrazio, però, di questo sforzo: non terrei una Menorah sulla mia libreria pensile per sfizio.

Non si tiene una Menorah in casa tanto per caso,
come un busto del Duce nel salotto.

Siamo cattolici da troppe generazioni, da  secoli non mangiamo più kosher, ma il nostro cognome geografico tradisce le nostre origini. Chi è rimasto alla vecchia religione contribuì alla nascita del fascismo, e fu pugnalato alla schiena quando esso aderì alle boiate hitleriane.

Il problema è che il sionismo è per il popolo ebraico ciò che fu il nazismo per quello tedesco: un movimento nato con ideali, ma poi corrotto. Golda Meir, per me, è una nonna.
Fino a trent’anni fa, un Netanyahu al governo d’Israele sarebbe stato impensabile — soprattutto con alleati come Bezalel Smotrich o il famigerato Itamar Ben-Gvir, personaggi che non hanno nulla da invidiare ai macellai della storia.

Un’inchiesta di Fanpage ha mostrato che il tuo partito ha la doppia pelle come i Visitors, perché nei circoli privati si inneggia ancora a Hitler e Mussolini. C’è chi espone ancora il busto del Duce nel salotto di casa.

Per questo sono convinto che tu fossi autentica quando stavi all’opposizione, perché la destra “bluette” di cui fai parte — termine coniato dal filosofo Diego Fusaro — si contrappone solo per finta alla sinistra “fucsia” delle ZTL e dei Gay Pride: due scarpe diverse, ma dello stesso padrone americano.

Linguaggio diverso, stesso burattinaio.
Il complotto ebraico contro il mondo non è mai esistito prima del 1945: è semmai una conseguenza delle persecuzioni subite, il cui culmine fu l’Olocausto. Ma nel tempo, fare le vittime è diventato uno strumento di potere, man mano che il movimento sionista degenerava.

Il senso di colpa inculcato agli europei — soprattutto ai tedeschi, disposti a soccorrere Israele fino alla propria autodistruzione — serve agli americani per avere carne da macello, come fecero con i sovietici durante la Seconda guerra mondiale.

Oggi, non avendo più la Russia a disposizione come esportatore di carne umana, si vorrebbe che fossero gli europei a immolarsi, quando i pazzi di Tel Aviv tenteranno di realizzare la Grande Israele dal Nilo all’Eufrate.

I palestinesi sono solo l’assaggio: una volta fatti fuori da Gaza e Cisgiordania, gli “Accordi di Abramo” serviranno solo a gettare fumo negli occhi degli altri arabi. Aspettiamoci scintille dalla Turchia, che presto arriverà ai ferri corti per Cipro e per i giacimenti offshore tra la sua costa e la foce del Nilo. Anche l’Egitto se n’è accorto, proponendo una NATO arabo-islamica, ma al Cairo non sospettano minimamente ciò che accadrà in Medio Oriente nei prossimi due o tre anni.

Questo è tutto, da underdog ad underdog.

Ettore Alpi

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