New York svolta a sinistra: l’ascesa di Zohran Mamdani e il paradosso del populismo progressista

Per la prima volta nella sua storia, New York ha eletto un sindaco musulmano, di origine sud-asiatica e appena trentiquattrenne: Zohran Mamdani. Il suo trionfo, salutato con entusiasmo dalla cosiddetta sinistra fucsia americana, rappresenta una svolta simbolica e politica di grande portata. Ma dietro l’entusiasmo dei sostenitori si nasconde un interrogativo più profondo: quanto può durare l’onda del populismo progressista prima di infrangersi contro i limiti economici e istituzionali di una metropoli come New York?

Mamdani, già membro dell’Assemblea dello Stato di New York e figura emergente dell’ala socialista democratica dei Democratici, ha costruito la propria ascesa sulla promessa di restituire la città “a chi la vive, non a chi la compra”. La sua campagna, fondata su slogan di giustizia economica, trasporti gratuiti, salari più alti e lotta alla gentrificazione, ha saputo intercettare la rabbia e la frustrazione di una fascia crescente di cittadini: giovani, precari, lavoratori del settore pubblico, immigrati e minoranze etniche. In un contesto in cui l’affitto medio di un monolocale ha superato i 4.000 dollari al mese, l’idea di un “sindaco del popolo” ha trovato terreno fertile.

La destra newyorkese, invece, ha reagito con scetticismo e timore. Alcuni esponenti conservatori hanno sottolineato la fede musulmana del nuovo sindaco, evocando il rischio di una deriva identitaria e multiculturalista fuori controllo. Altri hanno puntato il dito sulle sue proposte economiche, definite “irrealistiche” e “fiscalmente suicidarie” per una città che già affronta un disavanzo strutturale di miliardi di dollari. Non mancano nemmeno i paragoni con le esperienze fallimentari di amministrazioni di sinistra in grandi metropoli europee, dove la spesa pubblica espansiva ha alimentato la stagnazione più che la redistribuzione.

Mamdani, tuttavia, incarna una nuova generazione di leader urbani che non temono la parola “socialismo”. Nelle sue dichiarazioni, rivendica un modello di città fondata su equità, solidarietà e controllo pubblico dei beni essenziali. Ma la sfida sarà tradurre le intenzioni in atti concreti senza distruggere la fiducia dei mercati, delle imprese e delle stesse classi medie che hanno reso New York una capitale globale. Se la sua amministrazione dovesse fallire nel conciliare giustizia sociale e sostenibilità economica, il sogno di una New York più equa potrebbe trasformarsi in un incubo burocratico e finanziario.


C’è poi un tema politico più ampio. Il populismo progressista, pur muovendosi in direzione opposta rispetto al populismo sovranista, ne condivide alcune dinamiche: l’appello diretto al popolo contro le élite, la sfiducia verso le istituzioni intermedie, la promessa di soluzioni semplici a problemi complessi. Quando tali movimenti conquistano il potere, il rischio è quello di una democrazia che, nel tentativo di rinnovarsi, finisce per erodere se stessa. L’illusione di una “governance morale” può trasformarsi in un nuovo autoritarismo dal volto gentile, un principato plutocratico dove il potere economico si sposta di mano ma non di natura.

La vittoria di Mamdani rappresenta dunque un momento cruciale per capire quale direzione prenderà la sinistra globale nei prossimi anni. Se saprà trasformare la spinta idealista in un progetto di governo credibile, New York potrebbe diventare un laboratorio di riforme sociali capace di ispirare altre metropoli. Ma se la sua amministrazione cederà alla tentazione dell’assistenzialismo o del protagonismo mediatico, l’esperimento rischia di alimentare proprio ciò che intende combattere: la sfiducia nella democrazia e la nostalgia per il decisionismo autoritario.

In un’epoca di crisi delle ideologie e di leadership effimere, il caso Mamdani è un banco di prova per l’idea stessa di progresso. New York, la città che non dorme mai, potrebbe presto scoprire che il sogno di uguaglianza può trasformarsi in un brusco risveglio se non è sostenuto da realismo, competenza e misura.

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