Corpi Silenziosi: il Dramma delle Mutilazioni Genitali Femminili

In alcune parti del mondo, milioni di ragazze crescono sotto l’ombra di una violenza silenziosa, una tradizione antica che segna per sempre il loro corpo e la loro vita. L’infibulazione, la forma più estrema delle mutilazioni genitali femminili, non è solo un atto fisico: è una ferita indelebile, un marchio imposto dalla società, un simbolo di controllo sulla femminilità e sulla libertà. Le conseguenze sono immediate e devastanti: dolore lancinante, sanguinamento incontrollabile, infezioni che minacciano la vita. Ma le cicatrici più profonde sono invisibili: traumi psicologici, paura, vergogna, la sensazione che la propria esistenza sia stata decisa da altri.

Questa pratica affonda le sue radici in rituali secolari, legati a concetti di purezza, onore e appartenenza. In molte comunità, tagliare e cucire i genitali femminili è considerato un rito di passaggio, un modo per “preparare” la ragazza alla vita adulta e al matrimonio. Spesso si invocano motivazioni religiose, ma nessuna religione prescrive l’infibulazione: è la tradizione, la paura della disapprovazione sociale, la convinzione che senza questo rito la ragazza sarà respinta, a perpetuare l’orrore. Controllare il corpo femminile diventa così un modo per controllare la società stessa.

Nonostante leggi, campagne di sensibilizzazione e pressione internazionale, milioni di bambine continuano a subire mutilazioni ogni anno. Somalia, Sudan, Eritrea e altri paesi concentrano le statistiche più drammatiche, ma il fenomeno ha ormai superato i confini nazionali. Le migrazioni hanno portato queste pratiche anche in Europa, Nord America e Australia, dove comunità chiuse le mantengono segrete, come un oscuro rituale di fedeltà culturale. La forza della tradizione, unita alla paura dello stigma, mantiene viva una violenza che sembra invisibile agli occhi del mondo.

Per spezzare questa catena, servono strumenti concreti e coraggio collettivo. Leggi severe, programmi educativi, empowerment femminile e assistenza medica diventano armi contro un sistema culturale che ha imposto il silenzio. Bisogna parlare alle comunità, convincerle che proteggere le proprie figlie non significa tradire la tradizione, ma riscoprire la vera dignità della femminilità. Occorre dare voce alle vittime, offrire loro sostegno psicologico e sanitario, permettere che la cicatrice diventi simbolo di resilienza, non di vergogna.

Il futuro delle ragazze a rischio dipende da chi decide di non voltarsi dall’altra parte. Eliminare le mutilazioni genitali femminili significa restituire libertà, sicurezza e diritti. Significa immaginare un mondo in cui nessun corpo debba più pagare con il dolore, la paura e la superstizione. Solo così, un passo alla volta, la tradizione si trasformerà da condanna a protezione, e i corpi silenziosi potranno finalmente gridare la loro dignità.

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