C’è un punto oltre il quale la regolazione della sosta smette di essere un servizio e diventa un prelievo forzoso mascherato. In molte città italiane questo limite è stato superato da tempo, e il fenomeno delle strisce blu è ormai percepito da migliaia di cittadini come l’emblema di amministrazioni che hanno smarrito il senso della misura. L’idea originaria – favorire la rotazione delle auto nelle aree congestionate e migliorare la vivibilità urbana – è stata piegata a logiche di cassa, fino a trasformarsi in un sistema che colpisce indiscriminatamente residenti, lavoratori, studenti e visitatori.
La legge parla chiaro: il Codice della Strada impone che i parcheggi a pagamento siano affiancati, nelle immediate vicinanze, da adeguate aree di sosta gratuita. È un principio di equità, non un dettaglio tecnico. Ma in molte città è diventato lettera morta. Quartieri interi sono stati saturati di strisce blu, mentre le strisce bianche sono state relegate ai margini più remoti, quando non sono scomparse del tutto. E il tutto viene giustificato con la formula magica dell’“impossibilità tecnica”, un’espressione che ricorre con sospetta frequenza nelle delibere comunali e che spesso nasconde l’assenza di una reale volontà politica di garantire alternative.
Il caso di Napoli è uno degli esempi più eclatanti. Qui il prezzo per un’ora di sosta nelle aree centrali è arrivato a toccare quattro euro, se non di più nelle zone considerate “pregiate”. Una tariffa che non scoraggia l’uso dell’auto: semplicemente punisce chi non ha altre opzioni. Chi vive nella provincia, infatti, non gode di un sistema di trasporto pubblico degno di una grande città europea. Ci sono territori dove gli autobus passano con frequenze inaffidabili, dove i collegamenti sono insufficienti, dove l’auto privata non è una scelta ma un obbligo. In queste condizioni, imporre tariffe proibitive significa escludere intere fasce di popolazione dal diritto di accedere al centro cittadino. È una forma di selezione economica, non una politica di mobilità.
Il cittadino che arriva da fuori città, per una visita medica, un appuntamento di lavoro, un impegno burocratico o un semplice momento di vita quotidiana, si ritrova a dover scegliere tra pagare cifre esorbitanti o cercare un improbabile parcheggio gratuito a chilometri di distanza. E se non paga, rischia la sanzione. Non è un servizio: è un meccanismo punitivo, un pedaggio urbano non dichiarato che nulla ha a che vedere con una visione moderna della mobilità.
In questo scenario proliferano anche situazioni “creative”, con aree recintate senza sbarre ma piene di strisce blu, terreni adattati a parcheggi improvvisati e gestiti come se fossero infrastrutture moderne. Anche in questo caso la normativa imporrebbe chiarezza, trasparenza, cartellonistica adeguata, atti autorizzativi. Ma la realtà che molti cittadini incontrano è fatta di ambiguità e improvvisazione, dove il confine tra regolazione e abuso si fa sempre più sottile.
Alla fine, la percezione diffusa è che il sistema della sosta sia diventato uno strumento di autofinanziamento, non un mezzo per migliorare la qualità della vita. E quando la sosta diventa un lusso, la città smette di essere di tutti. I centri storici si svuotano di residenti e si riempiono di chi può pagare; la provincia resta periferia non solo geografica, ma anche sociale; il trasporto pubblico continua a non essere potenziato, perché non c’è alcun incentivo reale a farlo: tanto a pagare ci pensa chi arriva in auto.
Denunciare questo stato di cose non significa opporsi alla modernizzazione o alla sostenibilità. Significa, al contrario, richiamare le amministrazioni a una visione più ampia, in cui la mobilità sia davvero accessibile e il cittadino non sia trattato come una fonte di entrate. Le città dovrebbero essere luoghi aperti, non zone a pedaggio; spazi da vivere, non ostaggi della monetizzazione; comunità, non bancomat.
Finché le strisce blu rimarranno uno strumento pensato più per incassare che per servire, il rapporto tra cittadini e istituzioni continuerà a incrinarsi. E il centro delle nostre città resterà un privilegio riservato a chi può permetterselo, mentre per tutti gli altri sarà un territorio sempre più lontano, costoso e ostile.
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