Maria Sofia, l’ultima regina ribelle: la donna che non volle mai arrendersi all’Italia unita

C’è chi la ricorda come una regina senza trono, chi come una sovrana guerriera, chi come una cospiratrice instancabile. Maria Sofia di Borbone, nata principessa di Baviera e divenuta ultima regina delle Due Sicilie, è una di quelle figure che sembrano uscire da un romanzo più che da un manuale di storia. Bella, intelligente, caparbia, visse tutta la sua esistenza come una lunga sfida al destino: quello di essere moglie di un re inetto e devoto, Francesco II, e di vedere il suo regno dissolversi sotto l’urto dell’unificazione italiana.


Il suo battesimo di fuoco arrivò a Gaeta, durante l’assedio del 1860. Mentre suo marito si rifugiava nella preghiera, Maria Sofia si muoveva sulle mura, parlava con i soldati, incitava alla resistenza, divenendo un simbolo di fierezza che persino i nemici rispettarono. Ma quella fierezza non bastò a salvare un trono già condannato. Costretta all’esilio, Maria Sofia non si trasformò mai in una regina malinconica: scelse invece la via dell’opposizione, e per decenni alimentò speranze di restaurazione e vendette cospirative.

Nella Parigi fin de siècle, tra salotti aristocratici e circoli rivoluzionari, il suo nome continuava a circolare. Non erano fantasie: attorno a lei si muovevano monarchici legittimisti e anarchici, accomunati dall’odio contro la monarchia sabauda. Che vi fosse una sua ombra dietro l’attentato di Monza del 1900, quando Gaetano Bresci uccise Umberto I, non fu mai provato, ma l’eco del sospetto bastò a trasformarla in leggenda nera. Maria Sofia divenne così il volto di un Sud che non aveva mai perdonato l’Italia unita, e il suo nome evocava più paura che nostalgia.

Neppure la vecchiaia le tolse la voglia di combattere. Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale si schierò senza esitazioni con gli Imperi Centrali: non per fede politica, ma per calcolo, nella speranza che una disfatta italiana portasse allo smembramento dello Stato unitario. Andava a visitare i prigionieri meridionali catturati dagli austriaci, li incoraggiava, li trattava come figli di un regno che non c’era più. In quell’atto, insieme propagandistico e profondamente umano, Maria Sofia mostrava l’anima che l’aveva animata fin dall’inizio: non una rassegnata vedova della storia, ma una madre orgogliosa che vegliava sui suoi figli perduti.

Il fascino di Maria Sofia nasce da questa contraddizione: era allo stesso tempo moderna e arcaica, rivoluzionaria e reazionaria, capace di incantare con la sua bellezza e la sua forza, ma anche di ispirare timore con il suo spirito implacabile. Se il Risorgimento consegnò all’Italia eroi luminosi e retorici, lei rimase l’ombra dietro la scena, la regina ribelle che non si piegò mai, nemmeno quando tutto intorno a lei le ricordava che aveva perso.

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