In Italia, fare il giornalista significa avere una carriera regolata da… un albo che puzza di fascismo. Sì, avete capito bene: l’Ordine dei Giornalisti nasce nel 1925 per garantire che la stampa restasse fedele al regime, e oggi, più di cento anni dopo, sopravvive come un fantasma in giacca e cravatta. Non serve più il manganello o la censura aperta: oggi bastano un richiamo, una segnalazione o il silenzio complice dei colleghi, e il giornalista più temerario diventa improvvisamente un maestro nell’arte dell’autocensura.
L’Ordine è un organismo che decide chi può scrivere e, soprattutto, cosa può scrivere. È il grande censore invisibile, l’ombra che ti sussurra “meglio non approfondire”, “meglio non toccare quell’argomento”, trasformando la curiosità e il coraggio in prudenza e paura. Parlare di politica, di economia, di mafia o di certi scandali? Meglio pensarci due volte. È come se la libertà di stampa italiana avesse bisogno di permesso scritto dal gran giurì dell’albo prima di poter respirare.
Altrove, questa cosa sarebbe ridicola. In Gran Bretagna, Francia o negli Stati Uniti, chi scrive lo fa senza bollino, senza esame, senza paura del consiglio disciplinare. L’etica esiste, certo, ma è coltivata dai giornalisti stessi, dai lettori e dalle testate: non serve un organo centrale che ti dice cosa è “giusto” e cosa è “scandaloso”. L’informazione è libera, tagliente, scomoda e, soprattutto, reale.
In Italia, invece, l’Ordine è come un vecchio parente ingombrante che non vuole andarsene: ingombra, rallenta tutto, e ti ricorda continuamente che il passato non passa mai davvero. Continuare a difenderlo significa difendere un residuo storico che limita la libertà, incoraggia l’autocensura e trasforma la professione giornalistica in un teatro di prudenza ossessiva.
È ora di fare piazza pulita. L’abolizione dell’Ordine non sarebbe anarchia, sarebbe libertà. Libertà di scrivere senza freni, di investigare senza paura, di informare senza fantasmi del passato che ancora ci zittiscono. Se davvero vogliamo un’informazione italiana degna di questo nome, dobbiamo smettere di girare con il freno a mano tirato. E l’unico modo per farlo è mandare in pensione quel residuo fascista una volta per tutte.

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