La storia di Siddharta, narrata da Hermann Hesse, non è soltanto la vicenda di un uomo dell'India antica: è il simbolo di un viaggio che appartiene a ciascuno di noi. Siddharta parte giovane, assetato di verità, convinto che il sapere dei maestri, dei sacerdoti e dei testi sacri possa saziare la sua sete interiore. Però, ben presto scopre che le parole, per quanto belle, restano gusci vuoti se non diventano esperienza vissuta.
Così abbandona dottrine e maestri per cercare da sé. Passa dagli estremi dell’ascesi al mondo dei sensi, dalla povertà volontaria ai piaceri della ricchezza e dell’amore. Ogni fase lo attira e lo tradisce, perché ogni volta capisce che non basta: l’assoluto non si lascia catturare da un rito, da un’idea, da un possesso.
La svolta avviene presso il fiume. Lì, ascoltando il suo scorrere eterno, Siddharta comprende che la vita non è fatta per essere negata né posseduta, ma accolta. Ogni cosa, anche il dolore e l’errore, ha un senso nel fluire del tutto. Non esiste separazione tra sacro e profano, tra spirito e corpo, tra inizio e fine: tutto è Uno.
L’insegnamento di Siddharta, allora, non è un metodo né una dottrina: è un invito a vivere con ascolto profondo, a non aggrapparsi alle parole degli altri, ma a lasciarsi formare dall’esperienza, fino a riconoscere che il Tutto è già dentro e intorno a noi. La vera illuminazione non è fuggire dal mondo, ma imparare ad abbracciarlo con consapevolezza.
Per chi cerca oggi, la lezione è chiara: la verità non si riceve, si scopre; non si trova in un dogma, ma nel contatto vivo con la vita stessa. Il segreto sta nel saper ascoltare il “fiume” che scorre in ciascuno di noi, dove ogni voce, ogni ricordo, ogni attimo si fonde in un’armonia più grande.
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