Un tempo, il sogno di quasi ogni scrittore emergente era quello di approdare in una puntata del Maurizio Costanzo Show. Non era soltanto una vetrina: era il luogo simbolico in cui la parola scritta diventava parola detta, in cui un libro, magari stampato in poche copie da una piccola casa editrice, poteva trasformarsi in un caso nazionale. Presentare la propria opera davanti alle telecamere, con Costanzo che ascoltava, faceva domande, lasciava spazio al racconto, equivaleva a ricevere una sorta di investitura pubblica. Era il preludio di un successo che, se non garantito, almeno si poteva legittimamente sperare.
Ma arrivarci non era impresa facile. Prima di giungere a Costanzo bisognava superare una vera e propria cintura di collaboratori, segretarie e assistenti che, come guardiani severi, vagliavano lettere e manoscritti, scartando senza pietà la gran parte delle proposte. Si racconta che molte missive, inviate con cuore tremante da aspiranti autori, finissero direttamente nel cestino senza essere mai state aperte. Eppure, quella barriera non era frutto di cattiveria personale: era piuttosto la manifestazione di un sistema che proteggeva il “centro” – la figura del personaggio famoso – da un assalto continuo e quotidiano.
Non accadeva solo con Costanzo. Personaggi come Vittorio Sgarbi – amati e odiati, spesso percepiti come eccentrici o inarrivabili – erano anch’essi circondati da una sorta di corona di spine: collaboratori, pressioni, interessi e filtri che isolavano il cuore umano, spesso gentile e disponibile, della celebrità. Il paradosso è che molte di queste persone famose, una volta raggiunte, si rivelavano in realtà garbate, ironiche, persino generose. Ma arrivarci era già una vittoria.
Il meccanismo ricorda molto da vicino ciò che accade nelle aziende e negli uffici pubblici, dove curriculum e domande di assunzione vengono scartati in serie, non sempre per valutazioni oggettive, ma perché già si conosce il nome del prescelto: il cugino, l’amico di famiglia, l’“amico degli amici”. È lo stesso filtro, la stessa opacità che protegge chi sta in alto e lascia fuori chi non ha padrini né santi in paradiso.
Eppure, esistono eccezioni che diventano leggenda. La più celebre è quella di Luciano De Crescenzo, l’ingegnere-filosofo napoletano che divenne autore di culto. Il suo colpo di fortuna – rimanere bloccato in ascensore con un pezzo grosso della Mondadori – sembra uscito da un romanzo: l’occasione irripetibile che trasforma un uomo qualunque in scrittore famoso. Ma quanti possono sperare in una simile congiunzione astrale?
Per tutti gli altri resta la via più difficile e più onesta: quella del lavoro silenzioso, della perseveranza, del gettare frecce nell’aria senza sapere se mai colpiranno il bersaglio. In questo senso gli scrittori emergenti, oggi come ieri, possono ispirarsi agli stoici, da Marco Aurelio in poi. “Fa la tua parte e lascia che il destino faccia il resto”, ammonivano i saggi. Scrivere, spedire, tentare, insistere: questo è il dovere dell’autore.
Il resto appartiene al mistero. Una freccia scoccata può cadere nel vuoto, spegnersi senza eco. Ma può anche, improvvisamente, trovare il suo bersaglio: la persona giusta che legge, il lettore che passa parola, il piccolo editore che crede, l’occasione che si apre quando meno te lo aspetti.
Forse, in fondo, la carriera di uno scrittore non è mai stata altro che questo: un palcoscenico atteso, un pubblico invisibile, e una freccia lanciata nel cielo.
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