La figlia di Chierecone

Chierecone, al secolo Giovanni Di Dato, era detto così perché completamente calvo,  "zelluso" come diciamo in napoletano: la sua calvizie totale non passava inosservata. Napoli degli anni ’70 era viva, rumorosa e violenta, e lui navigava in quel mondo con cautela. Uomo di malavita, con precedenti per furto, scasso e ricettazione, continuava a delinquere, ma ormai in maniera più coperta, cercando di non attirare troppo l’attenzione.

Aveva tre figli: due maschi e una femmina. Voleva per loro un avvenire diverso. I maschi riuscì a farli studiare; uno divenne ragioniere, l’altro geometra. Annabella, invece, era diversa. Fin da adolescente si muoveva tra gli uomini con una fame di denaro e piacere che non conosceva freni. Non era costretta: era nel suo sangue.

Chierecone non poteva tollerare che sua figlia seguisse quella strada. Una sera, decise di intervenire: salì sulla sua Citroën DS Pallas bianca, lucida e rumorosa, e con l’aiuto di alcuni complici rapì Annabella, rinchiudendola in casa nel tentativo di piegarla. La macchina, elegante e minacciosa, scivolava tra i vicoli bagnati, simbolo del potere del padre e della sua disperazione.


Ma Annabella non era donna da farsi controllare. Osservava, calcolava, aspettava. Una notte, approfittando di una finestra lasciata socchiusa, fuggì. Raggiunse Milano, dove continuò a prostituirsi, ma in casa, lontana dagli occhi del padre. Chierecone lo seppe solo mesi dopo. Il controllo era sfuggito, e con esso ogni illusione di dominare la vita della figlia. Annabella aveva tracciato il suo destino da sola: libera, ribelle, insaziabile, e più viva di quanto Chierecone avesse mai immaginato.

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