Specializzati per non lavorare

Il paradosso degli “insegnanti per l’inclusione”: professionisti naufraghi che, dopo aver ingrassato il business dei corsi, scoprono che la scuola li vuole solo come tappabuchi. E intanto, chi dovrebbe essere incluso resta a bordo campo.



Pellegrinaggi dell’inclusione
Non sono più corsi, sono veri pellegrinaggi. Napoli–Cuneo, Bari–Treviso, Palermo–Bolzano: i nuovi cammini di Santiago dei precari con trolley. Non portano con sé rosari, ma certificati di specializzazione da 6.000 euro, spesso con il timbro dorato del Suor Orsola o con il bollino express di un’università spagnola che sforna abilitati come tapas in una taverna di Madrid.

Un’aspirante insegnante racconta con orgoglio: «In Spagna mi hanno fatto sentire importante, in aula eravamo in 200 ma il professore diceva sempre che saremmo stati il futuro della scuola italiana». Futuro sì, ma disoccupato: tornati in patria hanno trovato le graduatorie intasate e posti liberi solo a centinaia di chilometri da casa.


Erasmus del sostegno
C’è chi ironizza: «Non è stata una specializzazione, è stato un Erasmus del sostegno». Un paio di voli low-cost, qualche esame lampo, e voilà: il titolo in tasca.
Peccato che in Italia, alla prova dei fatti, il mercato sia già saturo. A Roma la prima fascia è bloccata, a Firenze e Bologna si combatte a suon di punteggi, mentre chi vuole lavorare davvero deve spingersi sulle Langhe cuneesi o sulle Prealpi trevigiane.


Badanti di lusso
Perché la verità è che la scuola non cerca filosofi, avvocati o psicologi. Cerca badanti. Pazienti, presenti e possibilmente sottopagati.
Ma qui arrivano ex professionisti: avvocati falliti, commercialisti stremati, psicologi senza pazienti, farmacisti stufi di scontrini. Un tempo fatturavano, oggi si contendono supplenze di due settimane in scuole di provincia, e devono pure ringraziare.

Un dirigente scolastico del Veneto, sorridendo amaro, li definisce: «Badanti di lusso». Con master, ma senza esperienza con un bambino di 7 anni che urla in classe.


Guerra di punteggi
Le convocazioni sono la nuova lotteria Italia. Ti chiamano alle 7 del mattino: «Vuoi una supplenza di tre giorni a 120 km da casa?». E se non accetti, il punteggio resta fermo e il tuo vicino di graduatoria ti supera.
Una docente racconta di aver cambiato quattro città in due settimane. Alla fine ha passato più ore sul Flixbus che in classe.


L’inclusione che esclude
Il paradosso brucia: chi ha speso fortune per specializzarsi finisce escluso. Alle superiori non c’è posto, alle elementari non può accedere, e intanto i bambini con la 104 aspettano un insegnante che resti almeno un mese intero.

Chi resta incluso, in realtà, è solo il business dei corsi. Un imprenditore campano del settore, a microfoni spenti, avrebbe detto: «Finché ci sono polli, io cucino».


Epilogo amaro
I docenti per l’inclusione includono se stessi: nel pubblico impiego, nel precariato, nella corsa ai punteggi. Ma non sempre includono gli alunni.
E la scuola italiana resta il teatro dei paradossi: laureati che non lavorano, specializzati che fanno da tappabuchi, e bambini che aspettano un vero sostegno.

L’unica cosa certa? Che il business dei corsi non conosce crisi.

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