Il Vero Potere è una parola che inganna, perché sembra qualcosa da afferrare, un trofeo da stringere nelle mani o una corona da indossare. Eppure, quando lo cerchi negli altri, ti accorgi che è sempre precario: comandare la vita di qualcuno è un dominio fragile, che vive soltanto finché l’altro accetta o subisce. È un potere di superficie, rumoroso, fatto di ordini e obbedienze. Ma sotto questa crosta rimane la verità che i saggi di ogni tempo hanno intuito: l’unico potere che resiste davvero è quello su di sé.
Avere in mano il proprio destino non significa controllare ogni evento, perché nessun uomo sfugge alla contingenza, agli imprevisti, al gioco del caso. Vuol dire invece saper rispondere a ciò che accade senza perdersi, restare padroni della propria direzione anche quando il vento soffia contrario. Lo stoico direbbe che il vero potere è governare le proprie passioni, mentre il buddhista parlerebbe di libertà dall’attaccamento. Due linguaggi diversi per dire la stessa cosa: il potere autentico nasce dall’interno e non ha bisogno di spettatori.
Se scendiamo sul piano della vita quotidiana, ci accorgiamo che questa forma di potere è ciò che distingue chi vive in balìa delle circostanze da chi sa trasformarle in occasione. Non è chi grida più forte a influenzare davvero, ma chi riesce a rimanere lucido in mezzo al caos. Pensiamo a una discussione: comandare sugli altri è imporsi, alzare la voce, piegare le volontà. Governare se stessi è non lasciarsi trascinare dall’ira, scegliere la parola giusta, decidere di non ferire. E in quella calma c’è una forza che chi è prigioniero dell’ego non potrà mai avere.
Il potere sugli altri può costruire imperi, ma è destinato a sgretolarsi insieme alla paura che lo sostiene. Il potere su se stessi, invece, non lo scalfisce nessuna tempesta. È silenzioso, non ha bisogno di proclami, eppure trasforma tutto ciò che tocca. È questo che rende un individuo libero, non la quantità di persone che può comandare, ma la misura in cui non è schiavo di nulla, nemmeno di sé stesso.
Nella prospettiva mistico-spirituale, il vero potere appare come un ritorno all’origine, un punto in cui l’io non è più separato dal tutto. Non è semplice autocontrollo, ma riconoscimento di una forza che attraversa l’esistenza. Chi possiede questo potere non cerca di piegare il mondo, perché sa che il mondo già scorre dentro di lui. La vera potenza è abbandonarsi senza perdersi, riconoscere nell’imprevedibile il disegno più grande, accettare che guidare se stessi significa, in fondo, lasciarsi guidare da ciò che è più alto di noi. Nel silenzio interiore si incontra un’autorità che non domina, ma illumina: un potere che non ha rivali perché non ha bisogno di vincere.
Se invece la guardiamo sul piano filosofico-politico, la questione si rovescia: che cosa accade alle società quando il potere è inteso solo come dominio sugli altri? La storia è disseminata di regni, imperi, dittature, nate con la promessa di forza assoluta e crollate perché fondate sulla paura o sull’illusione di onnipotenza. Ogni potere che non nasce dall’autonomia interiore degenera in tirannide. Una comunità è solida quando ciascuno coltiva il proprio dominio su sé stesso, e da lì costruisce il rapporto con gli altri. La libertà politica non è che un riflesso della libertà interiore: cittadini incapaci di governarsi cercano padroni, cittadini consapevoli generano democrazia. In questo senso, il potere autentico non è mai separabile dall’etica: è l’arte di reggere se stessi per poter reggere il mondo senza trasformarlo in una prigione.
Così, tra il silenzio dell’anima e il tumulto della storia, il vero potere rivela la sua natura: non l’ombra fragile del comando, ma il regno interiore, invisibile eppure incorruttibile, da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna.
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