Il Sud, la libera professione e l'arte di arrangiarsi (male)

Nel 2003, ero un aspirante suicida senza colore politico e senza raccomandazioni, cresciuto al Sud in un’Italia che prometteva merito ma consegnava porte chiuse.


Mi ero appena laureato, e dopo una breve parentesi politica — tanto per dire che ci avevo provato — mi ritrovai solo, senza reti di protezione.

Nessun parente dipendente pubblico, nessun religioso in famiglia.
Uno zio sindacalista c’era, sì, ma con i suoi figli da sistemare: miei coetanei, ovviamente in fila prima di me.
Mio padre? Aveva perso ogni appoggio con Tangentopoli.
Andarsene? Non l’avevo nemmeno contemplato.
Mi restava la libera professione. O, meglio, la sopravvivenza a essa.

Mi rivolsi all’albo territoriale. Mi indirizzarono verso una professionista di un comune vicino. La proposta era chiara: cinque giorni a settimana, mattina e pomeriggio.
Nessun rimborso. Solo la promessa di imparare.

Ma lo studio era dominato da una collaboratrice interna, una figura grottesca, più che altro per l’anima deformata: umiliava i praticanti, li trattava come carne da tirocinio.
Resistetti fino alla primavera del 2004. Poi mollai.
Scelsi un Master, illudendomi che mi avrebbe aperto le porte del lavoro. Invece, mi ritrovai punto e a capo.

Così ripresi la pratica, questa volta con un professionista della grande città.
Cambiavo tre treni per raggiungerlo ogni giorno.
Lui, almeno, mi comprava l’abbonamento mensile.
Piccole cose che sembrano grandi quando hai niente.

Nel frattempo, mi riavvicinai alla politica. Non per passione, ma per sopravvivenza.
Scelsi la galassia post-democristiana, dove le raccomandazioni erano strutturali, dove si parlava in codice, dove si trovavano le famose maniglie.
Era un mondo fatto di passaggi segreti, di corsie preferenziali, di furbizie silenziose.
All’epoca lo consideravo l’unico spazio dove provare a esistere.

Oggi, a distanza di anni, devo rivedere quella convinzione.
Non era solo il mondo post-democristiano a funzionare così.
Anche gli altri non stavano certo a guardare: fascisti, comunisti, centristi, persino i moralisti dell’ultima ora.

Alla fine, una raccomandazione la trovai.
Mi servì per superare l’esame di Stato.
Poi mi iscrissi all’albo e iniziai a esercitare.
Non era il sogno. Ma almeno era un nome sulla porta.

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