Il professore di religione che diventò ateo

L’ho incontrato in una chiesa, dopo tanti anni. Era il mio professore di religione alle superiori, e mai mi sarei aspettato di trovarlo lì, proprio lui, che a un certo punto del nostro dialogo si è definito “ateo”.


Era lì per una messa di trigesimo, in memoria di un caro amico. Partecipava, disse, “per rispetto della famiglia”, ma senza alcuna convinzione personale. Parole fredde, quasi tecniche, che stridevano con l’atmosfera sacra del luogo e con il ricordo che avevo di lui: un insegnante appassionato, a volte persino ispirato, che parlava di fede, vangeli e speranza con l’enfasi di chi ci crede davvero.

E invece oggi racconta il cattolicesimo come una favola per bambini mai diventati adulti.

Mentre lo ascoltavo, non riuscivo a non chiedermi se allora, quand’ero suo alunno, credesse davvero in ciò che diceva. Oppure se già allora recitasse una parte, magari in cambio di uno stipendio e di una cattedra ottenuta – come spesso accade – con il beneplacito silenzioso di un vescovo amico.

In alternativa, forse è stato sincero allora e si è perduto dopo. Magari qualche libro di troppo, qualche teoria sulla casualità dell’universo, e la fede si è sgretolata sotto il peso del dubbio. Succede. Ma non per questo fa meno male vederlo così.

Da credente cattocomunista a propagandista scientista. Una parabola quasi politica, più che spirituale.

Lo salutai con una scusa, e me ne andai.

Perché negare Dio, oggi, è diventato quasi un riflesso condizionato, come negare l’evidenza delle raccomandazioni nelle selezioni pubbliche. Tutti sanno che esiste chi è davvero bravo, chi riesce grazie alla fortuna, e poi c’è la grande massa che mangia da un piatto che non ha scelto. E anche se quel piatto è imperfetto, resta comunque il proprio: sputarci sopra è un atto che puzza d’ingratitudine.

Il mio professore di religione, oggi, sputa nel piatto dove ha mangiato agli inizi della sua carriera. E questo, più del suo ateismo, è ciò che mi disturba.

Forse per questo, quando lo incontro, evito sempre l’argomento. Non per paura, ma per rispetto. Perché la fede si può perdere, ma la dignità no.


Nessun commento:

Posta un commento

Morti di serie A, cadaveri di serie B

È curioso come la morte, che dovrebbe essere la grande livella, finisca sempre per essere usata come un manganello ideologico. Gianpaolo Pan...