Sono cresciuto in un’Italia che cambiava pelle senza cambiare il cuore. Andavo a scuola mentre gli insegnanti, tra un'ora di latino e una di storia, indottrinavano la mia generazione col cattocomunismo. Intanto cadeva il Muro di Berlino, e con esso crollava un intero sistema di valori a cui, volenti o nolenti, eravamo stati abituati a credere.
Ho vissuto l’epoca di Tangentopoli. Le bombe di Capaci e via D’Amelio. Il sangue, le lacrime e lo sconcerto. Ma anche il sarcasmo ideologico del mio professore di lettere, che sputava veleno su Berlusconi e sul suo “partito della plastica”, convinto che da lì in poi sarebbe stato solo un grande vuoto.
Intanto, il cattocomunismo dava alla luce la stagione dell’Ulivo, così pacata da risultare soporifera. Gli stessi che si riempivano la bocca di “bene comune” erano impegnati a smantellare pezzi dello Stato: l’IRI, la Cassa del Mezzogiorno, perfino il glorioso Banco di Napoli. Un colpo di spugna sulla storia industriale e finanziaria del Paese.
Fu in quegli anni che mi avvicinai al Movimento Sociale. C’era una sezione anche nel mio piccolo paese. Niente di simile alla realtà romana che frequentava la Meloni in quegli stessi anni (sono nato anche io a gennaio del ’77). Da noi, si combatteva una guerra silenziosa: vecchia guardia contro giovani rampanti. Questi ultimi guidati da un personaggio che avrebbe fatto carriera — due mandati da sindaco — per poi bloccarsi in Forza Italia, incapace di intravedere il vento che soffiava verso Fratelli d’Italia.
La mia militanza fu breve. Bastò scoprire che rubava dalla cassa del partito. Il suo stile era più da doroteo che da camerata. Riunioni importanti in salotto con pochi intimi, fuffa pubblica per tutti gli altri. Il solito teatrino. Quando c’era da impressionare l’onorevole di passaggio, si riempiva la sala. Poi si tornava al nulla.
Così passai dall’estrema destra all’antifascismo più ortodosso. Bertinotti, Cossutta, bandiere rosse e assemblee infinite. Dalla padella alla brace. Dagli sfigati neri agli sfigati rossi. Ma almeno con la certezza che nessuno, nemmeno i miei parenti, mi avrebbe mai votato se mi fossi candidato.
Ed è proprio questo che mi ha tenuto fuori dalla politica attiva: il timore della figura di merda.
Alla fine, mi sono allontanato anche dai comunisti. Ogni tanto li vado a trovare, certo, ma la passione è svanita. Con quelli della destra, invece, ho chiuso per sempre.
Mi sono laureato. E la mancanza di raccomandazioni ha presentato il conto.

Nessun commento:
Posta un commento