“Piccolo è bello”: quando la paura di crescere blocca l’Italia imprenditoriale

Il mito del “piccolo è bello” accompagna decenni l’immagine dell’imprenditore italiano, ma spesso nasconde una realtà meno romantica. Non si tratta solo di una scelta consapevole o di un valore da difendere, ma di una paura diffusa: la paura di crescere, di affrontare rischi e responsabilità.


Molti piccoli negozi e imprese restano tali non per volontà, ma perché la dimensione “di sopravvivenza” è la zona di comfort. Questa paura di fare il salto verso un’impresa più grande non nasce solo da fattori esterni, come la presenza della criminalità organizzata in alcune aree, ma soprattutto da un limite mentale e culturale radicato.

La scuola, più della famiglia, ha un ruolo importante nel formare questa mentalità. La cosiddetta “legge di Jante” — che insegna a non spiccare, a non eccellere, a scegliere la mediocrità come strada più sicura — limita la spinta verso il successo e la crescita personale.

Così capita di vedere adulti che rimangono bloccati in lavori precari o a carico dei genitori, senza voglia o possibilità di fare quel salto in avanti che cambierebbe la loro vita. Non è magia nera o maledizione, ma solo la conseguenza di una cultura che premia la stasi e punisce l’ambizione.

Per uscire da questo circolo vizioso serve una presa di coscienza: il cambiamento richiede coraggio, sacrifici e responsabilità. Solo affrontando la paura e il rischio si può trasformare una piccola realtà in un’impresa di successo.



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