Quando un capolavoro finisce al macero (e forse non è colpa tua)

Ci sono libri bellissimi che nessuno ha letto. Non perché scritti male, ma perché stampati in tre copie e ignorati da tutti. Così, un giorno, finiscono al macero. Non fa notizia, non fa scandalo. Accade ogni giorno.

Eppure, l’editore ci ha guadagnato qualcosa. Perché quasi sempre lo scrittore ha pagato per pubblicare. Fino a 5.000 euro, in certi casi. Una specie di tassa sull’illusione.
Il 99% degli autori emergenti non supera questo primo stadio. E molti di loro sono convinti che investire sul proprio libro significhi crederci. Come in una società: tu metti i soldi, l’altro (forse) il mercato.

Poi ci sono gli editori "seri". Quelli che non chiedono contributi, perché spalmano il rischio su molti titoli, come fanno le assicurazioni. Pubblicano romanzi che hanno già funzionato all’estero, saggi che cavalcano le tendenze, oppure l’ultima autobiografia di un personaggio televisivo. Insomma: meno rischio, più ritorno.

Chi pubblica per la prima volta deve affrontare numeri impietosi: il 99% degli esordienti non venderà nulla. E quel 1%?
Ah, quel famoso 1%... quello che fa il botto e paga i debiti degli altri.

Nel frattempo, le case editrici longeve sopravvivono grazie alle ristampe dei loro cavalli di battaglia. Le novità vere? Sono fiches su un tavolo da poker.

C’è poi chi sceglie l’autopubblicazione. Coraggiosi? Disillusi? Dipende. Ma senza una rete promozionale forte, senza contatti con la stampa, senza qualcuno che parli del tuo libro, si resta invisibili.
E La Repubblica non parlerà di te. A meno che tu non sia un colonnello o un generale in pensione.

Altro discorso meritano i professori universitari. Loro pubblicano i manuali per i corsisti e, nel dubbio, bocciano chi ha studiato dalle fotocopie. Un altro tipo di editoria, un altro tipo di garanzia.

E allora, a chi ci affidiamo? Alla Fortuna?

La Fortuna è bionda, severa, protestante. Cieca, oltretutto.
Non guarda in faccia a nessuno.

Rimane Quero.
Quero non è una divinità riconosciuta, né un algoritmo. È una presenza che interferisce con le coincidenze, le sincronicità, le svolte. Una specie di interruttore quantico tra un destino fallito e un’occasione trovata nel caos.

Forse non esiste. Forse abbiamo solo un biglietto della lotteria in mano.
Forse i miei cornetti napoletani non servono a niente.

Ma se Quero esiste, allora lo fa per questo: per evitare che un originale muoia da fotocopia.

Quero: il demone del successo letterario 



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