“Tu per fare il commercialista hai studiato, fatto un tirocinio, superato un esame di Stato. Lo stesso vale per medici, avvocati, architetti. Persino per i mestieri artigianali esiste un percorso di apprendistato. Solo il mestiere di politico è esonerato da tutto questo. Chiunque goda dei diritti civili può candidarsi, basta che raccolga abbastanza voti.”
A distanza di anni, non posso che riconoscerne la verità. La politica è, in effetti, l’ultima professione che non richiede alcuna preparazione formale, alcuna esperienza, nessuna verifica delle competenze. Basta avere visibilità, clientela, o semplicemente fortuna, e si può scalare le istituzioni: dal consiglio di quartiere fino ai palazzi del potere.
Ma c’è di più. Il mestiere di politico non è solo privo di regole, è parente stretto di un altro antico mestiere: quello del ciarlatano.
Il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza all’articolo 121 vieta l’attività di chi promette guarigioni e soluzioni miracolose senza titolo né scienza. Eppure, sotto mentite spoglie, la figura del ciarlatano ha trovato rifugio in mille forme moderne: non più solo maghi, cartomanti e finti guaritori, ma anche influencer travestiti da esperti, finti economisti, e, appunto, politici improvvisati.
Molti di loro non riuscirebbero nemmeno a leggere un oroscopo senza incepparsi, eppure gestiscono bilanci pubblici, normano la vita di milioni di persone, siedono nei parlamenti. Perché? Perché sono stati votati, anche se “più insipidi di un cetriolo”.
La democrazia ha molti pregi, ma tra i suoi difetti c’è questo: il consenso può legittimare anche la mediocrità, se non la totale incompetenza.
Certo, ogni tanto emergono delle “mosche bianche”: politici veri, talenti naturali, statisti con visione e spessore. Ma sono l’eccezione, non la regola. Nella maggior parte dei casi, la politica è diventata un rifugio per chi altrove sarebbe inadeguato, un palcoscenico per chi ha più voce che cervello, più ambizione che preparazione.
E il risultato è sotto gli occhi di tutti: anni e anni passati all’insegna del “campa cavallo che l’erba cresce”, tra slogan vuoti, promesse irrealizzabili e una perenne assenza di responsabilità.
Allora sì, forse è il momento di dirlo chiaramente:
senza una scuola della politica, senza una formazione civica e culturale seria, il mestiere del politico è indistinguibile da quello del ciarlatano. Cambia solo il microfono.
E in un mondo dove ogni parola pubblica diventa legge, e ogni decisione ha un peso sociale, forse è il caso di cominciare a chiedersi se la politica possa ancora permettersi questo lusso.

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